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il vice di trump

Il cammino di J. D. Vance verso il cattolicesimo, come lo ha raccontato lui

Marco Bardazzi

In Iraq, il vice di Trump ha perso la fede nell’eccezionalismo americano e nel cristianesimo evangelico. A convincerlo, racconta, sono state soprattutto le letture di Sant’Agostino e del filosofo francese René Girard

È un pomeriggio di sei anni fa e un giovane venture capitalist americano, da poco diventato celebre per un libro di memorie, è in viaggio su un treno da New York a Washington. È stanco, gira da giorni per lavoro, non vede la moglie e il figlio piccolo quanto vorrebbe. Decide di fare una cosa che da qualche tempo lo aiuta nei momenti difficili: mette le cuffie, chiude gli occhi e fa partire un canto in lingua aramaica di un coro di ortodossi assiri della Chiesa ortodossa di Georgia, eseguito per papa Francesco durante la visita che fece nel Caucaso nel 2016. Difficile immaginare statisticamente quante persone in quel momento negli Stati Uniti stiano ascoltando quel brano, è probabile che il numero sia vicino allo zero. 

Ma un’ora dopo, a Washington, lo scrittore va a visitare un amico domenicano e trova il coro dei frati impegnati nello stesso canto. J.D. Vance, il candidato vicepresidente scelto da Donald Trump, ha raccontato vari aneddoti personali come questo per spiegare i “segni” che lo hanno portato alla conversione al cattolicesimo. Una delle molteplici svolte della sua vita, importanti per capire il personaggio che potrebbe diventare non solo il vice di Trump alla Casa Bianca, ma anche il successore nel 2028, quando The Donald non potrebbe più candidarsi per i vincoli imposti dalla Costituzione. 

La notte scorsa, alla convention di Milwaukee, Vance si è presentato al popolo repubblicano e ha raccontato la propria storia personale. Come spesso capita ai convertiti, anche Vance appare talvolta più entusiasta, dogmatico e impaziente dei suoi nuovi compagni di fede nel promuovere ciò a cui ha aderito. Il suo cattolicesimo, in particolare, è ora parte integrante del suo pensiero politico, ricco di riferimenti alla dottrina sociale della chiesa ed esortazioni al “bene comune”.

Sicuramente il cattolicesimo conta molto più nel pensiero e nell’azione di Vance, che lo ha incontrato da poco, che in quello di Joe Biden, che è nato cattolico ed è il secondo presidente nella storia americana a essere fedele alla chiesa di Roma (il primo fu JFK). Per questo è interessante la storia della conversione dell’autore del bestseller “Hillbilly Elegy” (Elegia Americana), il primo cattolico conservatore ad avere una chance di entrare alla Casa Bianca.  

Ne sappiamo molto perché Vance, che non è uomo di sintesi e slogan – l’opposto del suo capo – ne ha scritto e parlato a lungo, descrivendo un complesso cammino più intellettuale che spirituale, partito dal cristianesimo protestante e poco praticato della sua famiglia. E dagli insegnamenti della nonna, “Mamaw” (interpretata magistralmente da Glenn Close nel film che Ron Howard ha dedicato alla vita di Vance nel 2020), che è stata il punto di riferimento dei suoi primi vent’anni e lo è in buona parte ancora oggi che è scomparsa da tempo. 

La prima crisi spirituale di Vance avviene in Iraq, tra il 2005 e il 2006, quando è impegnato come marine nella guerra di George W. Bush. Lì perde in un colpo solo due fedi. Una è quella nel conservatorismo internazionalista e neocon della Casa Bianca dell’epoca, convinto dell’eccezionalismo americano e della necessità di esportarne la democrazia. È l’inizio di un cammino che lo porterà poi a diventare il paladino della New Right isolazionista e anti Nato che la notte scorsa i reduci del vecchio establishment repubblicano hanno visto trionfare inorriditi. L’altra fede perduta in Iraq è il cristianesimo evangelico dell’infanzia, quello pragmatico e fedele alle Scritture di Mamaw. 

Torna a casa, si iscrive all’università in Ohio e si dichiara ateo e discepolo di Christopher Hitchens e Sam Harris. A Yale, dove studia subito dopo, si converte a un’altra chiesa, quella dei soldi e della meritocrazia. Qui però racconta di aver ascoltato un discorso che gli ha cambiato (di nuovo) la vita: quello di Peter Thiel, il fondatore di PayPal e Palantir, oggi esponente di punta della “Silicon Valley di destra”. Difficile immaginare Thiel come una figura spirituale, ma Vance racconta che è l’uomo che gli ha fatto sorgere molte domande e rimettere in discussione l’ossessione che aveva per la carriera e il successo. 

Thiel sarà poi anche il suo datore di lavoro, l’uomo che lo presenta a Trump e che gli finanzia la campagna del 2022 per diventare senatore dell’Ohio.

Ma negli anni post Yale è quello soprattutto che lo spinge a ripensare alla sua vita, un lavoro personale che lo porta a scrivere “Hillbilly Elegy”. È in questo periodo, alla metà degli anni Dieci, che Vance torna a investigare il cristianesimo, abbandonando però la tradizione di famiglia per spingersi verso il mondo cattolico. 

A convincerlo, racconta, sono state soprattutto le letture di Sant’Agostino – il suo autore preferito – e del filosofo francese René Girard. Insieme a dialoghi con molte figure del mondo cattolico, in particolare alcuni domenicani e il giornalista e scrittore Rod Dreher, l’autore del bestseller “L’opzione Benedetto”. C’era Dreher al suo fianco nell’agosto 2019, assieme ai membri della famiglia Vance, quando J.D. ha ricevuto battesimo e comunione dal padre domenicano Henry Stephen nella chiesa di San Gertrude a Cincinnati, in Ohio, ed è diventato cattolico.