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“La premier ha una strategia?”

La queenmaker Meloni è riuscita a essere irrilevante nell'Ue

David Carretta

Ursula von der Leyen è stata rieletta e non le è servito Fratelli d'Italia, che è confuso anche sul commissario 

Strasburgo. I Verdi, i grandi sconfitti delle elezioni europee, hanno salvato Ursula von der Leyen, offrendole i voti di cui aveva bisogno per essere rieletta dal Parlamento europeo per un secondo mandato come presidente della Commissione. Giorgia Meloni, considerata la “kingmaker” dopo il voto del 9 giugno, con la sua tattica sulle nomine è diventata irrilevante e ha dato indicazione ai deputati di Fratelli d’Italia di votare contro von der Leyen. La presidente della Commissione è stata riconfermata con 401 voti al Parlamento europeo, sostenuta da una nuova maggioranza europeista che, oltre al Partito popolare europeo, i Socialisti&Democratici e i liberali di Renew, per l’occasione si è allargata ai Verdi. “Ora lavoriamo tutti insieme per un’Europa forte. Stiamo lavorando sui temi della prosperità e della competitività nella nostra economia, dell’equità sociale”, ha detto von der Leyen. “La cosa più importante è il tema generale del rafforzamento della nostra democrazia. La nostra democrazia è sotto attacco sia dall’interno che dall’esterno, ed è quindi fondamentale che le forze democratiche si uniscano per difenderla”.

Il risultato è migliore di cinque anni fa, quando von der Leyen riuscì a passare per appena nove voti, grazie al partito nazionalista polacco PiS e al Movimento 5 stelle, a causa della diserzione di un centinaio di deputati della maggioranza. Il prezzo da pagare è l’impegno a non smantellare il Green deal. Ma la sua attuazione sarà “pragmatica”, compreso un possibile ripensamento sull’auto elettrica e la fine del motore termico nel 2035. Le linee guida politiche presentate portano il chiaro marchio del Ppe. Il primo capitolo del programma – la priorità delle priorità – è dedicato alla prosperità e alla competitività per rendere la vita più facile alle imprese. Nel testo ci sono anche diverse concessioni a Meloni, come la conferma dell’approccio Europa fortezza sull’immigrazione o la nomina di un commissario al Mediterraneo. Non è bastato a convincere il presidente del Consiglio a uscire dall’isolamento in cui si è infilata dopo il 9 giugno, quando era percepita come la leader più forte dell’Ue.

L’esercizio non è stato semplice per von der Leyen. Ha dovuto tenere insieme forze tanto diverse come il Ppe e i Verdi. Il suo programma è una collezione di proposte riciclate dal passato o ispirate da altri. Ma non vengono affrontate questioni chiave, come il debito comune dell’Ue o gli Eurobond per finanziare la doppia transizione climatica e digitale o il rafforzamento dell’industria della Difesa.  I socialisti hanno ricevuto alcune concessioni (un commissario agli Alloggi alla portata di tutti). I liberali si sono accontentati di vaghe garanzie sullo stato di diritto. I Verdi hanno riconosciuto che il Green deal non sarà più quello di prima. “Von der Leyen e le sue linee guida politiche sono verdi? Dico ‘no’, ma abbiamo fatto compromessi”, ha detto la presidente dei Verdi Terry Reintke. “Per me quello che è cruciale è che la maggioranza di oggi sia una maggioranza europeista”. La minaccia rappresentata dall’estrema destra è il collante della prossima legislatura che costringerà popolari, socialisti, liberali e verdi a cooperare. Il titolo delle linee guida politiche della presidente della Commissione – “La scelta dell’Europa” – è un appello all’unità delle forze europeiste.

Nella conferenza stampa dopo il voto, von der Leyen ha chiarito che lavorerà “il più intensamente e nel miglior modo possibile con coloro che mi hanno supportato”. Quanto al voto contrario degli eurodeputati di Meloni, la presidente della Commissione ha risposto con una frase gelida ai giornalisti. “Abbiamo offerto di lavorare insieme a tutti coloro che sono pro Europa, pro Ucraina, pro stato di diritto. Il risultato di oggi parla da solo”. In altre parole, Meloni si è esclusa da sola. Del resto nel suo gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) tre delegazioni moderate hanno deciso di sostenere von der Leyen: il partito del premier ceco Petr Fiala, i nazionalisti fiamminghi della N-VA che stanno per andare al governo e il partito lettone Alleanza nazionale. 

A Strasburgo e Bruxelles la tattica di Meloni è stata osservata con grande stupore sin dall’inizio della partita delle nomine. Al vertice del G7 in Puglia, il presidente del Consiglio ha adottato un atteggiamento di scontro nei confronti del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Prima della cena dei capi di stato e di governo dell’Ue del 17 giugno ha deciso di incontrare il premier ungherese, Viktor Orbán, e l’ex premier polacco, Mateusz Morawiecki, cioè due avversari dei leader europeisti e due nemici giurati di Donald Tusk, primo ministro polacco e principale leader del Ppe. Al Consiglio europeo del 27 giugno ha deciso di astenersi su von der Leyen e votare contro il nuovo presidente del Consiglio europeo, António Costa, e l’Alto rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, superando Orbán nel ruolo di leader ribelle. Negli ultimi giorni, il Ppe era certo che Meloni avrebbe cambiato idea, che avrebbe spinto i suoi 24 deputati a sostenere la presidente della Commissione, che avrebbe incassato le concessioni contenute nel programma. Perché “questo è l’interesse di Meloni e dell’Italia”, ha spiegato una fonte popolare prima del voto del Parlamento europeo. Non è andata così. 

Ora si apre la nuova fase, quella della formazione della Commissione. Ripercussioni sull’importanza del portafoglio del commissario italiano probabilmente non ce ne saranno. L’Italia è un grande paese fondatore e da sempre ha occupato posti chiave (Mario Monti alla Concorrenza e al Mercato Interno, Franco Frattini alla Giustizia e agli Affari interni, Antonio Tajani vicepresidente all’Industria, Federica Mogherini Alto rappresentante e Paolo Gentiloni all’Economia). Il problema è che a Bruxelles “nessuno ha compreso cosa voglia davvero Meloni”, dice un alto funzionario. “Agricoltura? Bilancio? Politica della coesione? Sicuramente non sarebbero portafogli adeguati per il peso del paese, anche se possono essere usati a fini di propaganda interna. Ma Meloni ha una strategia?”, si interroga il funzionario. E’ tutta la questione.