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L'arma finale di J.D. Vance per conquistare l'elettorato: la nonna clintoniana e dalle 19 pistole

Michele Masneri

Nonostante sia un milionario cresciuto in uno dei settori più assatanati della finanza, il venture capital, dalla sua biografia è completamente espunto questo capitolo, mentre lui si concentra giustamente sull’infanzia povera laggiù nell’Ohio, e in particolare sulla nonna materna, Bonnie Vance

È nato povero, è un underdog, ai salotti di potere preferisce i virili lavoratori di provincia. No, non stiamo parlando del premier italiano, bensì dell’ormai celebre J. D. Vance, il vicepresidente in pectore che Trump vorrebbe al suo fianco, già romanziere degli oppressi col memoir bestseller “Elegia americana” e pentito finanziere che è la sorpresa di questa convention repubblicana di Milwaukee. Anche lui come Meloni ha dei punti deboli: nel suo caso una moglie vegetariana (di qui dei “buuuu” registrati tra il pubblico) e forse si trucca pure (secondo alcuni, esagera con l’eyeliner, per esaltare quei “beautiful blue eyes” che avrebbero convinto Trump a sceglierlo come suo vice – che ci volete fare, è un mondo così ormai).

 

O forse è tutto studiato e dettato dall’algoritmo, per seguire il tormentone che gira su TikTok, sulla desiderabilità del maschio odierno, “looking for a man in finance, blue eyes, 6.5, trust fund” (sull'altezza, ci sono voci discordanti, e il trust fund ancora non c’è). Come Meloni anche Vance ha capito che il vittimismo è il petrolio del Ventunesimo secolo, dunque ecco sciorinare un album di famiglia su misura per evocare tenerezza e complicità nei rustici repubblicani che dovrebbero votarlo e senso di colpa invece negli sfessati democratici con la macchina elettrica a rate che si percepiscono radical chic e lo ameranno odiando se stessi, anche se diventerà vice dell’unico presidente orgogliosamente golpista della storia americana (il senso di colpa è l’altro petrolio del Ventunesimo secolo).

 

Nonostante sia un milionario cresciuto in uno dei settori più assatanati della finanza, il venture capital, dalla sua biografia è completamente espunto questo capitolo, mentre lui si concentra giustamente sull’infanzia povera laggiù nell’Ohio, e in particolare sulla nonna materna, Bonnie Vance, che pur non essendo fisicamente presente (è morta nel 2005) è stata centrale nella convention e nel suo – perdonate – storytelling. Come Meloni anche Vance aveva un papà scapestrato che a un certo punto ha mollato il focolare, ma se la mamma di Meloni, la leggendaria Anna Paratore, giallista col nome di penna di Josie Bell, è una solida capofamiglia, Vance invece è lui lo scrittore di casa, e la mamma era un problema anzi il problema. Tossica e alcolista, a un certo punto minacciò pure di ucciderlo, e venne arrestata, e da allora lui andò ad abitare coi di lei genitori che sono stati la sua guida, il suo faro, in particolare questa nonna Bonnie detta “mamaw”, specie di urlo di battaglia che è stato ripetuto dalle folle clamanti di Milwaukee. 


Ecco “mamaw”: partita dal Kentucky, settled in Ohio, perita appunto nel 2005, sempre evocata dal nipote primo laureato della stirpe (a differenza di Meloni), che ne fa una figura mitica tanto da cambiarsi il cognome, dal Bowman originario  in Vance, con la facilità americana di queste procedure burocratiche. “Quand’è morta le abbiamo trovato in casa 19 pistole cariche” ha detto lui alla folla esultante (e chissà Trump, se gli saranno fischiate, letteralmente, le orecchie, a evocare tante pallottole).

 

La prima cosa che mamaw dice al nipotino quando lui va a vivere da lei è “se qualcuno ti tocca, dovrà vedersela con la mia pistola”, non si sa quale delle 19. Per chi non ricordasse il film tratto da “Elegia americana”, del 2020, oggi su Netflix, la nonna, impersonata da Glenn Close che ne ebbe una nomination all’Oscar (ma non lo ottenne), era una campagnola risoluta con occhialoni e camicioni, e ossessionata da “Terminator”, film che guardava in continuazione, oltre a rimproverare la figlia fricchettona interpretata invece da Amy Adams (oggi è “pulita” e felice per “il suo ragazzo”). Chissà cosa penserà oggi Close, che nella vita è una fervente democratica e all’avvento di Trump comprò copie della Costituzione americana per regalarle ad amici e parenti.  Nella realtà la nonna formidabile era, ha raccontato Vance, pure lei politicamente democratica anzi clintoniana (mentre il nonno più reaganiano); cristiana ma non praticante, che amava Dio ma anche “il vaffa” (“loved the Lord but also the F-word”),  “politicamente di sinistra sociale” ma “umanamente di destra”, ricorda il nipote, qualunque cosa voglia dire, ma che importa, l’ambiguità è il terzo petrolio, ecc. ecc. L

 

a formidabile nonna morì prima di aver potuto vedere la pellicola, che non ebbe critiche molto positive, per l’Atlantic “uno dei peggiori film dell’anno”, Forbes  scrisse invece che apparteneva al genere “poverty porn” cioè dove si mostrano dei poveracci stereotipati con un’analisi sociale “meno profonda di quella contenuta nella serie ‘Hazzard’”; e in effetti il film sembra un  “Brutti, sporchi e cattivi” però al ketchup, e siccome è americano c’è pure er messaggio de speranza, e il giovane che sopravvive alla mamma tossicona e alla nonna un po’ ingombrante alla fine ce la farà (sottinteso, a fare i soldi. Vance, che è capitalista pentito ma non troppo, ha anche coprodotto la pellicola).  Però manca tutto il capitolo in cui lui si pente, dei soldi, e scende in campo e diventa trumpiano, un filo di trucco e via; Close di sicuro a fare il sequel non ci sta. Però Netflix dopo Yara potrebbe fare un’Elegia romana con la famiglia Meloni tra la Camilluccia e l’Eur, passando per la Garbatella, che forse è il nostro Kentucky (o Ohio, insomma, vabbè).
 


   
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).