The Wrong Nation

I neo-neocon di Vance. Imposture ed egemonie da studiare

Giuliano Ferrara

Nazionalismo, isolazionismo, spirito antielitario, americanocentrico, populista. I neo-conservatori sono all’opposto dei giganti del “nuovo secolo americano”, modello Strauss

I neo-neoconservatori che stanno dietro alle pretese intellettuali di J. D. Vance, erede e portatore non si sa quanto sano del morbo trumpiano, self made man di successo, educato a Yale e promosso senatore dal tycoon tecnologico Peter Thiel prima di diventare vice di The Donald nel ticket presidenziale, autore di un romanzo piagnone molto rispettato sull’infanzia elegiaca dei forgotten men nei monti Appalachi, sono stati descritti con perizia e cura estrema da Ian Ward per Politico. Per certi aspetti, si può aggiungere alla sua analisi, sono l’opposto dei neo-conservative di Irving Kristol, Norman Podhoretz, Joshua Muravchik che suscitarono, con una coorte di funzionari e politici legati a riviste come Commentary e il Weekly Standard e al potere washingtoniano, le speranze di un “nuovo secolo americano” a cavallo tra le presidenze di Ronald Reagan e George W. Bush, in specie dopo il risveglio alla realtà dell’11 settembre 2001, con il bombardamento islamista di New York e Washington.

 

Di provenienza politica liberal, alcuni anche trotzkisti, questi pensatori di sinistra “assaliti dalla realtà”, come diceva Kristol, furono internazionalisti, chiesero un fortissimo impegno americano, di tipo neoimperiale, per un assetto libero del mondo, in lotta con le autocrazie e con la ribellione delle masse fanatizzate in specie nel Grande medio oriente, ebbero punti di contatto con Samuel P. Huntington teorico dello scontro di civiltà, puntarono su libero mercato e globalizzazione con estrema determinazione politica, restarono sempre insensibili all’idea di una America First! concepita come una fortezza della nostalgia e dell’isolamento tariffario e militare e fiscale.

 

L’area di pensiero era quella degli straussiani della East Coast. Leo Strauss (1899-1973) era un ebreo tedesco di Marburgo che ha scritto una vasta opera filosofica su ragione e rivelazione, su Atene e Gerusalemme, e sulla nozione di filosofia politica e di diritto naturale, su liberalismo e storicismo, di cui decodificò e interpretò le linee essenziali del detto e del non detto, dello scritto e del non scritto o dello scritto tra le righe dei grandi classici antichi e medievali, la famosa ermeneutica della reticenza. Questo gigante lasciò una duplice eredità di critica della modernità, almeno duplice, e una parte di questa fu assorbita dal Claremont College Institute di San Bernardino (Ca), in cui Strauss operò per un breve periodo sul finire dei Sessanta (il suo centro per il resto fu Chicago dopo la New School for Social Research di New York). In politica era un realista, un atlantista e un cold warrior sempre preoccupato del tema della giustizia senza spada, ereditato dalla crisi di Weimar, e dai totalitarismi, da quello comunista dopo il Terzo Reich e i fascismi, e fu un critico severo ma giusto del liberalismo dei nostri tempi, in favore del liberalismo classico di impronta conservatrice.  

 

Ospitammo anche nel Foglio un paragone tra il suo pensiero e quello di Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona, oltre ad altri scritti e interventi. Questi neo-neoconservatori vengono dallo straussismo della West Coast, appunto il Claremont Institute fondato dagli allievi dello straussiano Harry V. Jaffa. In prevalenza sono cattolici convertiti, ma il loro crisma è il nazionalismo, l’isolazionismo, uno spirito antielitario, populista, americanocentrico, tutte cose che fanno a pugni con la lezione da insider e da filosofo della politica legato alla missione americana nella democrazia mondiale che erano un tratto pertinente di Strauss. Interessante fra tutti il ruolo di Peter Thiel, pentito della globalizzazione tecnologica.

 

Meno rilevante ma caratteristico quello di Rod Dreher, autore di “L’opzione Benedetto”, un pamphlet para ratzingeriano sul ruolo di resistenza della cattolicità di minoranza. La critica della modernità e del progresso, e la denuncia della degenerazione woke dell’ideologia liberal, è un tratto comune, sebbene declinato in modi diversi e contraddittori, specie in relazione al pragmatismo sfilacciato e sfacciato del loro leader politico e campione presidenziale Trump. I neo-neo in politica estera e nel rapporto con la riemergenza del soviettismo imperialista dei Putin e degli euroasiatisti sono decisamente inconciliabili con l’ideale cosmopolita e appunto neoimperiale, antinazionalista, dei neoconservative dell’inizio di questo secolo. 
       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.