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la lettera

Biden mette l'America first e non si ricandida. Ora cambia tutto

Paola Peduzzi

Il presidente americano annuncia il suo ritiro "nell'interesse del paese e del partito" e fa il suo endorsement a Kamala Harris. La lettera e le pressioni fortissime interne al Partito democratico

Il presidente americano Joe Biden ha deciso di non tentare la propria rielezione a novembre e ha fatto il suo endorsement a Kamala Harris, attuale vicepresidente indicata come candidata alla presidenza contro Donald Trump. Lo faccio per il paese e per il partito, ha scritto Biden nella lettera dell’annuncio – che non aveva condiviso con il suo staff prima di pubblicarla – ed è forse la prima volta che lo slogan “America first” assume un significato promettente e non è il bercio isolazionista urlato in faccia a tutti dall’ex presidente Trump.

 

Le pressioni interne al Partito democratico sono state fortissime – 24 giorni di: Biden deve fare un passo indietro, a partire dalla notte dopo il catastrofico dibattito televisivo ad Atlanta – e  la campagna elettorale era diventata un colabrodo: i sondaggi negli stati chiave sono precipitati (e altri stati che erano assegnati ai democratici sono diventati in bilico), i fondi elettorali pure (mentre quelli di Trump hanno avuto un aumento enorme) e Biden, anche a causa del Covid ma non solo, non riusciva a fare quel che avrebbe dovuto, cioè comizi e fundrising per rilanciare la propria candidatura e le chance di tutto il partito. Lo scontro interno ai democratici è stato feroce e Biden, che continuava a insistere per rimanere in corsa, ormai sembrava l’irresponsabile in chief, quello che incaponendosi affossava tutte le speranze di vittoria – speranze che si sono drammaticamente ridotte nell’ultima settimana, quando alla crisi del presidente si sono sovrapposti il tentato omicidio di  Trump, il suo pugno alzato vigoroso e la convention repubblicana a Milwaukee dai toni trionfanti. Ma ora si riapre tutta la campagna elettorale.

 

 

Il  piagnisteo democratico – scandito da una tetra rassegnazione alla sconfitta – ora si può interrompere, si riparte da zero. Ci sono molte decisioni da prendere: le definiscono tecniche, ma in realtà sono politica purissima, perché Kamala Harris, indicata da Biden come candidata alla presidenza, dovrà conquistare l’appoggio dei delegati alla convention che si terrà a Chicago dal 19 agosto, cioè costruire prima di tutto la sua campagna dentro al Partito democratico – cosa non scontata, perché se è vero che è lei la via naturale della successione, è altrettanto vero che il suo potenziale non è condiviso da tutti nel partito, per non parlare tra gli elettori. Resta lo scenario di una convention aperta, in cui si decide in quei giorni di riunione del partito chi sarà il candidato alla presidenza – Harris dovrà anche indicare il suo vicepresidente, il più quotato in questo momento è il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro (la Pennsylvania è uno stato in bilico). 

In ogni caso gran parte della retorica dei repubblicani contro il vecchietto Biden, che in questi giorni è stata martellante ancor più a fronte di un silenzio inusuale dei democratici sulla convention repubblicana, ora è innocua: l’unico vecchietto rimasto è Trump. E l’operato del presidente Biden potrà finalmente brillare, senza più l’ombra della sua età a cancellarne inopinatamente tutti i meriti. In questi giorni sono usciti i dati sull’immigrazione  – uno dei temi che più preoccupano gli elettori – che mostrano una riduzione degli ingressi dal confine sud dopo l’introduzione di misure restrittive per le richieste di asilo; l’economia americana cresce a tassi che noi europei possiamo solo invidiare, la fiducia dei consumatori è in crescita e l’inflazione è scesa ai livelli di un anno e mezzo fa; un report recente della Brookings Institution e del Mit, naturalmente non vista perché eravamo occupati a contare le gaffe di Biden, mostra che dopo gli stimoli statali in alcune delle zone più sofferenti dell’America sono ripartiti a ritmi che non si vedevano da un decennio gli investimenti privati: ci sono almeno mille centri che erano destinati al declino ora ristrutturati. Ci sarà modo di valutare come l’agenda Biden ha trasformato l’America e ora forse si potranno vedere nitidamente gli effetti: per quel che riguarda la politica internazionale, Biden ha costruito l’unità occidentale contro l’aggressione di Vladimir Putin, ha dato il suo sostegno indefesso all’Ucraina, ha tenuto insieme gli europei e la Nato e ha restaurato – con i gesti e con gli aiuti – il significato di alleanza. Senza di lui, la campagna di divisione dell’occidente che è al cuore dell’offensiva putiniana avrebbe avuto più successo. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi