Kyiv ci prova con Xi
La prima missione ucraina a Pechino dall'inizio della guerra, ma la Cina aiuta Mosca. Un report
Il capo della diplomazia di Kyiv, Dmytro Kuleba, è nella capitale cinese per dei colloqui con il suo omologo Wang Yi. Il rapporto di Xi con Putin però è solidissimo. E Hong Kong è diventata base strategica dell’elusione delle sanzioni contro la Russia
Ieri, con atipico coordinamento, i ministeri degli Esteri ucraino e cinese hanno annunciato che a partire da oggi, il capo della diplomazia di Kyiv, Dmytro Kuleba, sarà a Pechino per dei colloqui con il suo omologo cinese Wang Yi. La visita di Kuleba durerà tre giorni, sarà la prima sin dall’inizio della guerra e precederà di poche ore quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, anche presidente di turno del G7. Finito il cosiddetto Terzo Plenum, la riunione di partito sulle riforme economiche i cui risultati mettono ancora una volta la sicurezza prima dello sviluppo, il leader Xi Jinping torna alla diplomazia.
Ma quella con l’Ucraina è particolarmente delicata: all’inizio della guerra d’invasione su larga scala da parte della Russia, il governo di Kyiv era più ottimista riguardo a un potenziale intervento diplomatico della Cina nel conflitto, e anche a fine marzo scorso Kuleba aveva parlato del “grande potenziale” di Pechino nel facilitare la fine della guerra. Il mese scorso, però, Zelensky aveva per la prima volta accusato direttamente la Cina di voler sabotare i colloqui di pace in Svizzera. Ieri il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto, in sostanza, che la visita di Kuleba non cambia niente perché “intendiamo continuare a seguire il percorso di sviluppo delle relazioni russo-cinesi in tutti i settori”. E uno studio pubblicato ieri dalla Committee for Freedom in Hong Kong Foundation (Cfhk Foundation) spiega anche molto bene il perché.
Per mesi la comunità internazionale si è interrogata sul sistema di elusione delle sanzioni economiche internazionali da parte della Russia di Putin. Nel frattempo, le agenzie d’intelligence avvertivano del sostegno della Cina alla guerra del Cremlino, tanto che l’ultimo documento della Nato descrive la Repubblica popolare come un “fattore decisivo” per le Forze armate russe. Secondo i critici, prove e dati concreti di questo sostegno non c’erano mai stati. E invece erano abbastanza evidenti. Secondo il rapporto della Cfhk Foundation, sulla base di uno studio durato anni attraverso fonti e dati pubblici, gran parte di quell’aiuto alla Russia arriva da Hong Kong, la tormentata città che nel 2020 per volere del Partito comunista cinese ha perso tutta la sua autonomia, anche economica, mantenendo però alcuni regimi speciali che le hanno consentito di diventare un hub di traffici internazionali in violazione delle sanzioni economiche.
“Nonostante le sanzioni internazionali”, scrive l’autore dello studio Samuel Bickett, avvocato specializzato nelle questioni di diritto che riguardano Hong Kong, “il commercio tra Hong Kong e paesi sanzionati, in particolare Russia, Corea del nord e Iran, è aumentato in modo significativo negli ultimi anni”. Le esportazioni di Hong Kong verso la Russia sono inizialmente calate dopo il febbraio del 2022, ma poi sono quasi raddoppiate. E le aziende di Hong Kong “hanno spedito miliardi di dollari di beni alla Russia per il suo sforzo bellico”: “La nostra analisi dei dati relativi al solo periodo agosto-dicembre 2023 ha mostrato che 750 milioni di dollari dei 2 miliardi totali di spedizioni di Hong Kong a Mosca comprendevano beni inseriti nella lista dei Common High Priority Items da America ed Europa, ovvero i componenti avanzati più richiesti dalla Russia per il suo sforzo bellico”. Un anno fa l’Unione europea aveva deciso di inserire nell’11esimo pacchetto di sanzioni una società di base a Hong Kong ritenuta responsabile di aiutare la Russia a eludere le sanzioni. Nei pacchetti di sanzioni successivi il numero di società cinesi – e in particolare di Hong Kong – è sempre aumentato. Secondo lo studio sarebbero almeno 206 le aziende di Hong Kong che sono state coinvolte nella spedizione di articoli sensibili come semiconduttori, ricevitori di dati, processori e controller prodotti da aziende americane, europee o di altri paesi democratici asiatici e che sarebbero arrivati in Russia fino al dicembre del 2023. E del resto era stato proprio il chief executive di Hong Kong, il capo del governo locale John Lee, ad annunciare nell’ottobre del 2022 che nella sua città non si sarebbero applicate le sanzioni contro la Russia, secondo l’avvocato Bickett “dando così il via libera agli operatori illeciti di aprire dei ‘rivenditori’ in città”.
Ieri un funzionario del dipartimento del Commercio americano ha detto a Reuters che il traffico di componenti tecnologici dalla Cina a Hong Kong è diminuito del 28 per cento tra gennaio e maggio. Qualcosa si muove per fermare la Russia e la sua macchina da guerra, è il messaggio dell’Amministrazione americana: “Penso che ci sia qualche motivo per essere almeno ottimisti sul fatto che siamo riusciti a rallentare alcuni di questi scambi”, ha detto il funzionario alla Reuters, ma “la Cina è ancora la nostra preoccupazione numero uno”.
Dopo aver annientato l’autonomia e lo stato di diritto a Hong Kong, il leader cinese Xi Jinping vuole sfruttare il suo status strategico per far diventare l’ex colonia inglese l’hub dei suoi traffici che servono ad armare i partner della Cina come la Russia. E oggi manda il suo diplomatico più alto in grado e più d’esperienza, Wang Yi, ad accogliere Kuleba a Pechino. Ma il bluff dell’intervento cinese da “mediatore”, indipendente, è stato già svelato da un pezzo.
L'editoriale dell'elefantino