medio oriente
Netanyahu e quell'epica popolare che non conosce diserzioni
Se c’è una prospettiva di una Gaza senza Hamas questo lo si deve a una epica popolare e finale del premier israeliano, che se ne andrà ma intanto non rinuncia a dire la sua
La biografia di Benjamin Netanyahu è un’infilata di errori e successi di un militare politico diplomatico, per la prima volta un numero uno del governo nato in Israele, un pezzo di vita americana, un fratello Yoni ucciso in uno scontro a fuoco a Entebbe, una formidabile famiglia di rabbini e professori di storia alle spalle, una sequela di mogli e amanti, sempre con figli, accuse loffie di corruzione, svolte politiche e governi sempre in coalizione con forze di destra religiosa, record di durata nell’ufficio di primo ministro, eccezionale abilità manovriera in Parlamento, scandali storiografici come quello per cui Hitler era meno propenso alla soluzione finale del Gran Mufti di Gerusalemme, guerre, accordi di Abramo, denuncia della politica dei due stati e due popoli, vittorie (in Siria nel 1973) e tragiche sconfitte (il pogrom del 7 ottobre 2023), non si finisce più di enumerare follie e battaglie e stati di necessità per questo ricercato delle Corti penali che parlerà per la terza volta al Congresso americano riunito e fronteggia tre offensive di origine iraniana in contemporanea da anni, ed è sempre al centro dell’amore-detestazione come avvenne per i grandi Golda, Begin, Sharon, Rabin, Peres, Shamir, Barak, destra e sinistra confuse nella classe dirigente più pazza e eroica del mondo, e sopra tutto Ben Gurion il fondatore dello stato indipendente.
Chi non era convinto dell’ultima soluzione di governo da lui escogitata dopo quattro elezioni in meno di due anni e il tentativo di farlo fuori a ogni costo, la coalizione con le ultradestre, capiva ma non si adeguava, fino al 7 ottobre che è la sua fine strategica, forse, e l’inizio di una storia di autodifesa nazionale anche sua che diverrà leggendaria. Chi lo detestava per ragioni di parte politica liberal, per il suo tentativo di riequilibrare la divisione dei poteri e il ruolo ingombrante della Corte suprema, presa come un attentato al carattere democratico dello stato ebraico, chi ha sposato la grande offensiva umanitaria che ha rilegittimato antisionismo e antisemitismo nel mondo, ora deve adeguarsi ai dati di fatto, tremendi come in ogni guerra ma inoppugnabili.
Da un anno quasi Netanyahu guida Israele, fino a ieri con un gabinetto di guerra di coalizione, in uno slancio drammatico di sopravvivenza che gli contrappone, per certi aspetti per la prima volta nella storia di quella nazione, per altri aspetti è un già visto, l’opinione pubblica del mondo intero, stati Onu università tribunali penali movimenti bella gente tutto insieme. Invece di scomporsi, disunirsi, piegarsi, arretrare, perdere la bussola, incredibilmente, il governo Netanyahu ha subìto un ricatto dopo l’altro fin dentro il paese e davanti alla sua casa privata, i civili di Gaza, gli ostaggi, e una serie di accuse di carattere morale prima che politico, con un’integrità di passo e una capacità di prevalere sulla menzogna nella lotta senza quartiere contro Hamas, gli Hezbollah, gli houthi e l’Iran che hanno del sovrumano.
Israele sta perdendo molta della pietà internazionale verso gli ebrei, un sentimento di cui Golda diceva che si doveva fare a meno per necessità, un deputato di Mélenchon ha addirittura chiesto la sua eliminazione dai Giochi olimpici cinquanta e più anni dopo la strage di Monaco contro gli atleti israeliani, ma sta guadagnando terreno con Bibi ogni giorno di più. Anche a Rafah, dove non doveva mettere piede, e dove invece Tsahal è entrato dopo aver eseguito un piano di evacuazione giudicato impossibile da tutti, centrando in quel contesto finale alcuni obiettivi decisivi, tra i quali pare ufficiale anche l’eliminazione di uno dei dioscuri dell’impresa terroristica chiamata Hamas, Mohammed Deif. I nemici di Israele contavano sull’impopolarità nella bienpensance internazionale di Netanyahu, sugli effetti di comunicazione e compassione dei bombardamenti e dell’invasione di terra israeliana a Gaza, sul sacrificio programmato e benedetto di migliaia di civili palestinesi loro vittime, sull’Onu e le sue succursali, sulla funzione degli ostaggi che sembravano a un certo punto ostaggi del governo di Gerusalemme e non di Sinwar e dei suoi predoni, sui tiepidi di tutto il mondo occidentale, ma ora si risolvono a trattare, a quanto sembra. E se c’è una prospettiva di tregua e di fine almeno provvisoria delle ostilità e di ricostruzione a Gaza senza Hamas, mentre houthi e proxi iraniani sparano missili e devastano, questo si deve anche all’uomo politico che se ne andrà ma intanto dice la sua, in nome di un’epica popolare che non conosce diserzioni, al Congresso degli Stati Uniti, alleato di ferro chiunque sia il suo presidente.