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Il Venezuela al voto: così l'opposizione proverà a battere Maduro

Maurizio Stefanini

Il paese si prepara alle elezioni di domenica. Secondo i sondaggi Edmundo González Urrutia è in vantaggio, per questo la repressione del regime è al suo picco

Con il candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia – al quale tutti i sondaggi degli istituti considerati affidabili danno vantaggi spaventosi, dal 55 al 72 per cento – domenica 28 luglio l’opposizione venezuelana proverà a dare l’ennesima spallata al regime chavista. E’ l’ottava in 22 anni: dopo la sommossa popolare con cui Hugo Chávez fu estromesso dal potere l’11 aprile 2002 e poi rimessovi da un’altra sommossa negl giro di 48 ore; il grande sciopero con cui l’opposizione bloccò il paese dal 2 dicembre 2002 a 3 febbraio 2003; il referendum revocatorio che l’opposizione perse il 15 agosto 2004; il referendum costituzionale che Chávez perse il 2 dicembre 2007 ma il cui risultato poi annullò con un altro referendum; le elezioni presidenziali del 14 aprile 2013 in cui, dopo la morte di  Chávez, Nicolás Maduro vinse con soli 223.599 voti di vantaggio su Henrique Capriles; le elezioni politiche in cui il 6 dicembre 2015 l’opposizione ottenne una maggioranza qualificata di 112 seggi su 167 all’Assemblea nazionale che avrebbe potuto imporre a Maduro una coabitazione  per la nomina del vicepresidente-capo dell’esecutivo ma a cui Maduro rispose col golpe istituzionale che tolse all’Assembea nazionale i poteri; la protesta che in risposta al golpe si accese dal 12 febbraio 2014, culminò nella nomina da parte dell’Assemblea nazionale del suo presidente Juan Guaidó come presidente della Repubblica ad interim tra il 23 gennaio 2019 e il 25 gennaio 2023, e non si è più arrestata. 

In seguito ai boicottaggi dell’opposizione alle elezioni che si erano tenute dopo il golpe di Maduro, a questo voto si è arrivati con gli Accordi di Barbados firmati il 17 ottobre 2023 tra governo e opposizione con la mediazione di Norvegia, Barbados, Russia, Paesi Bassi, Colombia, Messico e Stati Uniti, e in cambio del progressivo allentamento delle sanzioni messe dagli Stati Uniti in risposta alla stretta autoritaria di Maduro  (e gli stessi Stati Uniti hanno messo su Maduro una taglia di 15 milioni di dollari per traffico di droga). Contenuto dell’intesa: il diritto di ogni attore politico a selezionare i suoi candidati; garanzie elettorali; elezioni presidenziali nel secondo semestre del 2024. Ma Maduro li ha clamorosamente violati, prima confermando la inabilitazione che ha impedito la candidatura di María Corina Machado, plebiscitata alle primarie della opposizione del 22 ottobre 2023 con 2.253.825 voti, pari al 92,35 per cento; poi impedendo la candidatura della sua sostituta Corina Yoris. Alla fine però è stata consentita la candidatura dell’ex-diplomatico Edmundo González Urrutia. Alcune società di rilevazione considerate vicine al governo danno Maduro come vincitore (la stampa italiana ne ha riportata una che gli attribuiva il 54,2 per cento di intenzione di voto: è stata fatta da Hinterlaces, il cui presidente è Oscar Schemel, già deputato chavista e con un programma su una tv di regime). Tutti i sondaggi di istituti considerati affidabili danno invece a González Urrutia un vantaggio incolmabile. E spiegano che almeno i due terzi degli elettori vogliono votare, contro il 46 per cento delle ultime presidenziali.

Nei dodici anni di potere di Maduro, otto sono stati di recessione e quattro di iperinflazione che hanno portato il Venezuela da paese più ricco a più povero dell’America Latina: è vero che dopo aver toccato il fondo adesso si sta un po’ risollevando, ma i proclami di Maduro riguardo un 8 per cento di crescita nel primo semestre del 2024 sono dimezzati nelle  stime dell’Onu. L'industria del petrolio è stata ridotta a un punto tale da costringere il Venezuela a importare benzina. Secondo l’Acnur, 7,7 milioni di venezuelani sono andati all’estero, creando una delle maggior diaspore al mondo accanto a quelle di Siria e Ucraina. Un quarto dei venezuelani ha “votato con i piedi”, e un altro terzo di chi è rimasto pensa di fare lo stesso se Maduro resta al potere. La repressione è arrivata a un punto tale che nei due anni più acuti della protesta in Venezuela ci sono state quattro volte più vittime che in Cile nei 17 anni di Pinochet, e il presidente è sotto inchiesta da parte della Corte penale internazionale. 
Il 2 luglio alla Camera un rapporto sulla repressione in Venezuela è stato presentato da Tamara Sujú a nome del Casla Insitute, denunciando “torture degne del medio evo”. “Manette in metallo che stringono ai polsi causando molto dolore, e dove inoltre vengono applicate scariche elettriche alla vittima. Introduzione di oggetti appuntiti in aree dolorose. Frustate fino a far perdere la pelle o le unghie. Soffocamento. Scariche elettriche dopo aver bagnato le persone, o mentre sono legate a oggetti metallici. Rimozione delle unghie delle mani e dei piedi dopo avervi introdotto aghi o averle colpite con oggetti contundenti. Rimozione di denti costringendo le persone ad aprire la bocca per estrarli con una pinza mentre sono tenute con forza. Una vittima è stata torturata all’interno di un’ambulanza, dopo che le erano state fratturate due vertebre. Sono state documentate anche torture psicologiche come la roulette russa o la simulazione di esecuzione. Ma soprattutto  il dolore degli altri prigionieri è una delle cose che più ricordano le vittime: come urlavano, come li sentivano piangere e chiedere  aiuto. Due torturati hanno tentato il suicidio. E’ documentato lo stupro di un prigioniero politico militare e violenza di genere. In almeno quattro casi  c’erano ufficiali cubani a partecipare alle torture”. La stessa Tamara Sujú denuncia ora il blocco in Venezuela di cinque portali informativi.

Con i processi contro gli ultimi due  ex responsabili della Pdvsa, Rafael Ramírez e Tareck El Aissami, il regime ha peraltro ammesso di aver messo  la società petrolifera da cui dipende il Venezuela in mano a delinquenti che hanno rubato almeno 21 miliardi. Ma più nei sondaggi aumentava il vantaggio per l’opposizione, più aumentavano gli arresti di oppositori: ben 102. Machado ha lanciato un allarme mondiale sulla scalata repressiva del regime venezuelano, arrivato al punto di chiudere hotel e ristoranti colpevoli di aver dato cibo e un letto ai leader dell’opposizione durante i loro tour elettorali. Tant’è che alla fine  González Urrutia ha annunciato che si sarebbe portato da mangiare da casa. 

Dopo che Maduro ha minacciato “un bagno di sangue” se non vince, è sbotatto persino il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. Non appena tornato alla presidenza aveva provato a difendere Maduro, ma adesso in una conferenza stampa ha confessato di essere “spaventato”, e di averlo chiamato due volte per avvertirlo che “se vuoi contribuire a risolvere il problema della crescita del Venezuela e del ritorno di coloro che se ne sono andati devi rispettare il processo democratico”. In democrazia, “chi perde ottiene un bagno di voti, non un bagno di sangue”: “Maduro deve imparare che quando vinci rimani, e quando perdi te ne vai e ti prepari per altre elezioni”. Anche Lula ritiene che le elezioni di domenica prossima saranno “l’unica opportunità” per il Venezuela di “tornare alla normalità” e per il paese di reintegrarsi nella comunità regionale e internazionale. Lula ha detto di avere inviato due osservatori e il suo ex ministro e consigliere per gli Affari internazionali Celso Amorim. Sono state invece cassate sia la missione dell’Unione europea sia quella del Senato spagnolo. Anche a molti giornalisti è stato rifiutato il visto. 

La critica di Lula si unisce a quella già da tempo esplicita del presidente cileno Gabriel Boric, anche da molto prima che emissari di Maduro uccidessero in Cile un esule venezuelano, e a quella del colombiano Gustavo Petro, sia pure più sfumata. Ma alle critiche di questa che definisce “sinistra codarda”, Maduro risponde ostentando l’appoggio di Russia, Cina e Iran e l’asse con Cuba e con il Nicaragua di Daniel Ortega. La Russia ha da poco inviato navi da guerra prima a Cuba e poi in Venezuela, per confermare questo sostegno. 

Ci si può fidare che Maduro rispetterà un risultato elettorale a lui sfavorevole? Proprio per sensibilizzare la comunità internazionale è venuta in Italia una delegazione di oppositori in esilio di cui faceva parte  Dinorah Figuera, presidente dell’assemblea nazionale del 2015, che si è prorogata. Parlando col Foglio ha ricordato che il rischio è quello di “una frode elettorale in tre tempi. Prima delle elezioni, quando ad almeno quattro milioni di venezuelani non è stato permesso di registrarsi per votare all’estero. Durante le elezioni: sono stati cambiati i centri di votazione e i nomi delle scuole dove votare per confondere gli elettori; sono state usate massicciamente risorse statali per la campagna elettorale del governo. Dopo le elezioni: la popolazione vuole votare in massa per un cambio, ma Nicolás Maduro fa intendere di voler ignorare la volontà del voto”. Anche lei riconosce che “è stata importante la posizione assunta dal presidente brasiliano Lula e dal presidente colombiano Petro perché dopo aver bloccato le candidature di María Corina Machado e di Corina Yoris Maduro non bloccasse anche quella di Edmundo González Urrutia. Anche l’ex presidente uruguayano José Mujica, grande protagonista sulla scena politica, è un autorevole leader di sinistra che ha preso una posizione molto forte sulla necessità di libere elezioni in Venezuela”. 

Dinorah Figuera ritiene che comunque sarà importante la capacità di negoziare. “Saranno fondamentali le persone per bene che ci sono nelle Forze armate”. Ma infatti in questo momento contro i militari non conformi la repressione è particolarmente forte. “Sì, ci sono più di 300 prigionieri politici, e per la maggior parte sono militari”. Anche quello che è stato ucciso in Cile. “Ma qui bisogna notare un altro elemento. Con Maduro non siamo tanto di fronte a un regime autoritario, quanto a un regime narcotrafficante. Io sono state eletta nello stato di Aragua, e una organizzazione come El Tren de Aragua è la proiezione del regime di Nicolás Maduro  verso l’internazionalizzazione di uno schema delittuoso per due elementi fondamentali: mettere la criminalità internazionale al proprio servizio e creare il caos per alcuni stati o paesi”. “Anche i militari venezuelani soffrono per questa situazione”, aggiunge Antonio Ledezma, ex sindaco di Caracas presente nella delegazione. “Ci sono soldati a cui vengono dati due giorni liberi a settimana perché li usino per cercare di integrare lo stipendio da fame che gli danno.  I primi interessati a porre fine a questa catastrofe umanitaria sono i militari venezuelani, ed è ciò che speriamo accada il 28 luglio. E’ Maduro che deve prepararsi a fare la valigia e lasciare il potere, con la garanzia che i suoi diritti di essere umano non verranno violati”.