La missione

Meloni in Cina, ma senza smartphone. L'allarme per la sicurezza

Ecco perché tutta la delegazione di Palazzo Chigi dovrà lasciare gli apparecchi tecnologici a casa

Giulia Pompili

L'intelligence: niente apparecchi elettronici di uso quotidiano, che possono essere silenziosamente messi sotto controllo. Per la prima volta la misura viene applicata anche in una missione di altissimo profilo della Repubblica italiana

La delegazione di Palazzo Chigi in partenza domenica per Pechino dovrà lasciare cellulari, smartphone, orologi smart e tablet a casa. L’intelligence è stata chiara: niente apparecchi elettronici di uso quotidiano, che possono essere silenziosamente messi sotto controllo da chi ne ha tutto l’interesse. E' anomalo ricevere un’indicazione di sicurezza così precisa e restrittiva per un viaggio verso la Repubblica popolare cinese – il 5 luglio scorso il ministro del Made in Italy Adolfo Urso e i suoi collaboratori si sono regolarmente portati dietro i loro smartphone

 

America, Canada, Regno Unito e altri paesi già da anni usano certe precauzioni quando viaggiano in Cina: i telefoni si lasciano a casa, e durante la missione dentro ai confini cinesi si usano invece i cosiddetti “burner phone”, telefoni con una scheda nuova, e numero nuovo, praticamente usa e getta, insomma sacrificabili. Secondo l’intelligence internazionale è solo questo il modo per mettere davvero in sicurezza le comunicazioni pregresse, la rubrica telefonica, le note – per esempio – di un capo di governo in Cina. Evidentemente, i sistemi tecnologici di sicurezza possono poco o nulla contro virus e malware made in China. L’allarme riguarda anche eventuali spyware (dei programmini maligni e invisibili che monitorano silenziosamente tutte le attività di uno smartphone) installati all’insaputa del proprietario e che potrebbero continuare a spiare i membri di una delegazione anche dopo aver lasciato il territorio cinese.  

 

A quanto risulta al Foglio, come da standard internazionali la misura si applica soprattutto alle missioni verso la Repubblica popolare cinese (ed è difficile pensare a “rilanciare i rapporti” con un paese in cui non ti fidi nemmeno di portarti dietro il tuo cellulare).

 

Da Palazzo Chigi però si ridimensiona la questione: si tratta in realtà di misure di sicurezza che si applicano anche ad altri paesi e ad altre missioni della presidente del Consiglio, fanno sapere. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.