L'asse dei violenti

Assad a Mosca da Putin si fa dettare le ultime richieste russe

Paola Peduzzi

Il dittatore di Damasco è diventato ancora più servile nei confronti del Cremlino, che gli ha permesso di rimanere al potere e anche di ritrovare una nuova legittimazione. Dal 2022 la Russia lavora a un riavvicinamento tra la Siria e la Turchia: le nuove condizioni

“Sono molto contento di vederti”, ha detto Vladimir Putin a Bashar el Assad, il dittatore siriano arrivato mercoledì a Mosca, “mi interessa sentire la tua opinione” sul medio oriente, “sfortunatamente c’è una tendenza all’escalation, lo vediamo, si applica anche alla Siria”. La parola “escalation” in bocca al presidente russo assume un’accezione perversa, per lui è sempre riferita agli altri, quando è noto che ad alzare la posta – delle guerre, della violenza, del terrore – è sempre il Cremlino. E’ un momento importante questo, ha risposto Assad, “considerando gli eventi in giro per il mondo e nella regione euroasiatica”, ha aggiunto vago: non gli è richiesta precisione, le sue visite da Putin sono sempre di gratitudine, visto che senza il suo sostegno non sarebbe più al potere, e visto che risponde alle sue richieste ubbidiente. 

L’ultima visita di Assad da Putin risale al marzo dello scorso anno, per celebrare insieme il dodicesimo anniversario dall’inizio della repressione del regime di Damasco contro il proprio popolo, che nel 2011 aveva iniziato la primavera araba e che quasi subito si era ritrovato sotto le bombe (chiodate) e il gas sarin mandate da quello che, all’inizio, era stato inopinatamente considerato uno dei meno brutali tra i dittatori della regione. L’intervento della Russia a sostegno del regime siriano, coordinato assieme all’Iran, risale al 2015, è stato uno dei grandi errori dell’Amministrazione Obama che delegò a Mosca la gestione di una guerra in cui l’America voleva coinvolgersi il meno possibile. Putin non si lasciò scappare l’occasione, applicò un metodo che in parte era stato visto in Ucraina l’anno precedente, con l’invasione russa del Donbas e l’annessione della Crimea, e che lì fu affinato – negare l’evidenza degli attacchi contro i civili, definire terroristi i ribelli anti Assad, costruirsi una base militare nel posto più strategico della Siria, cioè nell’affaccio sul Mediterraneo, radere al suolo Aleppo, strumentalizzare l’esodo degli sfollati verso l’Europa, accusare di russofobia chiunque denunciasse violenza e menzogne. Quando nel 2022, Putin organizzò l’invasione su larga scala dell’Ucraina, fu chiaro a tutti quel che negli anni precedenti era stato tacciato di isteria antirussa: la Siria era stata la palestra della brutalità putiniana che si sarebbe riversata sugli ucraini – senza dimenticare l’alleanza militare e tecnologica con l’Iran. 

Il piano putiniano in Siria ha avuto il suo coronamento con la riammissione di Assad nei consessi internazionali, come quello della Lega araba, e il dittatore di Damasco è diventato ancora più servile, mettendosi a disposizione anche per il passaggio di armi e di soldi che sono finiti a Hamas e Hezbollah. Ora Putin ha un’altra richiesta per Assad: portare a termine il riavvicinamento della Siria con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan (che incidentalmente è un paese alleato della Nato nonché uno degli hub europei a pagamento per gestire i flussi migratori verso l’Unione europea). Le relazioni diplomatiche tra i due paesi si erano interrotte nel 2011, perché Ankara sosteneva le proteste contro Assad. Il primo incontro a livello ministeriale, organizzato da Mosca, risale al dicembre del 2022: Putin, che aveva invaso l’Ucraina ma non era riuscito a conquistarla come pensava di fare nel giro di pochi giorni, cominciava a sentire il bisogno di riunire una coalizione di paesi alleati. A metà luglio, un giornale turco aveva riportato la notizia, poi smentita dalla stessa presidenza di Ankara, di un incontro fra Erdogan e Assad ad agosto, sempre a Mosca. Il presidente turco ha poi fatto una conversazione telefonica con il rais siriano invitandolo in Turchia, ma Assad, che pensa di avere una qualche autonomia in questa storia, ha detto che prima i turchi devono ritirare le loro truppe dal nord della Siria e smettere di sostenere i gruppi che lo combattono, che lui chiama “terroristi”. Farà quel che vorrà Putin, quando lo vorrà Putin. 
   

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi