difficili equilibri
Il governo spagnolo appeso alla Catalogna
Mentre gli sherpa di Sánchez stanno negoziando con gli indipendentisti di Esquerra republicana de Catalunya (Erc), Puigdemont fa capire (due volte) al premier quanto è rilevante
Non le inchieste sulle attività professionali di sua moglie Begoña Gómez, che non hanno ancora rilevato alcun evidente illecito. Non l’economia, che funziona benone. Non l’opposizione del Partito popolare, che non riesce a convincere nessuno del fatto che potrà prescindere, per governare un domani il paese, dall’appoggio dei sovranisti di Vox, che stanno flexando pose sempre più estremiste. Il vero problema per il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez è, ancora una volta, la Catalogna. E, nonostante i suoi sette anni da esule/fuggiasco, il perno della questione rimane, ancora una volta, l’ex presidente di quella regione inquieta, Carles Puigdemont.
Gli sherpa di Sánchez stanno negoziando con gli indipendentisti di Esquerra republicana de Catalunya (Erc) il varo di un nuovo governo catalano: c’è tempo fino al 26 agosto sennò si tornerà al voto. Questo esecutivo sarebbe guidato dal socialista Salvador Illa, vincitore delle regionali di maggio, e taglierebbe fuori Junts, l’altro movimento indipendentista guidato da Puigdemont. Proprio ieri il premier ha incontrato il presidente catalano uscente, Pere Aragonès (che è di Erc). Motivo ufficiale: un incontro istituzionale. Motivo reale: provare a stringere i bulloni di un accordo tra i socialisti ed Erc per il governo catalano.
Non è un caso, quindi, se l’altro ieri, nel Parlamento di Madrid, Junts ha messo a segno un notevole uno-due per ricordare a Sánchez che il suo voto favorevole è, diciamo così, piuttosto utile se vuole portare avanti il suo programma di governo. Martedì, i sette deputati fedeli a Puigdemont hanno votato infatti insieme ai popolari e a Vox affossando così, in pochi minuti, sia la riforma della Ley de Extranjería sia gli obiettivi di riduzione del debito presentati dal governo. E non è poco. La riforma della legge per la regolarizzazione dei migranti, sollecitata dal picco di ingressi irregolari che sta mettendo in difficoltà le strutture di accoglienza delle Canarie e delle città-enclavi di Ceuta e di Melilla, aveva l’obiettivo di stabilire un meccanismo automatico per la redistribuzione nelle regioni dei minori stranieri non accompagnati. Solo pochi giorni fa, proprio un dissidio sull’opportunità di accogliere questi minori ha indotto Vox a lasciare tutti i governi regionali in cui era in coalizione con il Pp, una scelta che ha segnato il punto più basso nei rapporti tra i due partiti. L’approvazione di un più esplicito obbligo di accogliere i minori non accompagnati avrebbe messo in difficoltà i presidenti regionali del Pp che si sarebbero visti costretti a disubbidire alla legge o a esporsi alle violente critiche della destra estrema. Ma Junts ha votato contro il governo. Ancora più rilevante è il “no” degli indipendentisti agli obiettivi di riduzione del debito che blocca l’approvazione della legge di bilancio per il 2025.
Ma se Sánchez è appeso a Puigdemont, Puigdemont è appeso a Sánchez. Infatti, la legge di amnistia confezionata dal governo su misura per l’ex presidente catalano e approvata a maggio dal Parlamento, è ancora incagliata: proprio ieri il Tribunale supremo ha chiesto a quello costituzionale di valutarne l’ammissibilità e la Commissione europea ha ribadito le sue perplessità, dicendo che la procedura d’urgenza con cui è stata approvata non ha permesso di consultare opportunamente l’opinione pubblica su un tema così controverso. In più, in ambito europeo, pesano le indagini sugli abboccamenti che sarebbero avvenuti, qualche anno fa, tra uomini di Puigdemont ed emissari del Cremlino, un elemento così laterale rispetto alla vicenda complessiva dell’indipendentismo catalano da passare pressoché inavvertito in Spagna, ma non a Bruxelles, dove proietta una luce sinistra su Junts e sul suo leader. In ogni caso, è ancora una volta sull’asse Sánchez-Puigdemont che cammina, cercando di mantenersi in equilibrio, il governo spagnolo.
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