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nel Sahel

A un anno dal colpo di stato in Niger, è ora di una nuova strategia

Luca Gambardella

Mali, Burkina Faso e Niger formano un'alleanza golpista alternativa all’Ecowas. La Russia approva, Bruxelles va in ordine sparso: da una parte la Francia, dall’altra la ricerca di un confronto con i golpisti, che vede in Italia e Germania gli apripista

Per seppellire la francophonie e rompere con il passato, i golpisti del Sahel ridisegnano la diplomazia della regione dal tavolo di un auditorium di Niamey. Con mimetica e berretto militare, i leader di Niger, Mali e Burkina Faso il 7 luglio scorso hanno annunciato la nascita dell’Alleanza degli stati del Sahel, il nuovo asse golpista che vuole essere alternativo all’Ecowas. L’organizzazione economica regionale è ai loro occhi uno strumento del potere imperialista, che aveva stabilito sanzioni economiche e minacciato un intervento militare contro i tre paesi ribelli. Inevitabile dunque abbandonarlo, per rompere con il passato e far risuonare ancora più forte i nuovi slogan della “rottura con il passato coloniale”. La sfida trova la benedizione della Russia, che in concomitanza con la nascita dell’Alleanza, dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha condannato “i tentativi dell’occidente di continuare a imporre modelli coloniali” ai paesi del Sahel. I tre leader ripetono il mantra della rivalsa, che nelle parole di Ibrahim Traorè, giovane leader del Burkina Faso, suona più o meno così: “Noi abbiamo lo stesso sangue che scorre nelle vene”, mentre “gli occidentali credono che  apparteniamo a loro, e così anche le nostre ricchezze”. 

 

A un anno dal golpe in Niger, gli americani si apprestano a completare il ritiro dal paese, dove restano appena trecento uomini che dovranno lasciarlo entro settembre. Il loro nuovo “avamposto” sarà verosimilmente in Costa d’Avorio, assecondando così le richieste della giunta militare di Niamey che non ha accettato il diktat di Washington: o con noi o con Mosca. Eppure, per la Rappresentante speciale dell’Ue nel Sahel, Emanuela Del Re, gli americani non parlano propriamente di un “withdrawal” e se loro “mantengono aperti i canali diplomatici con i golpisti”, altre forze straniere invece latitano a Niamey, tanto da compromettere l’efficacia della diplomazia europea. “Durante il mio mandato, negli ultimi tre anni, è stato fatto molto in Niger”, spiega al Foglio Del Re, “sia sul piano umanitario sia su quello della cooperazione allo sviluppo. Dal colpo di stato si è deciso di mantenere solo rapporti a livello locale sostenendo l’Ecowas, ma dopo un anno forse l’Ue potrebbe avviare una nuova strategia diplomatica”. 

L’Europa invece va avanti in ordine sparso. Da una parte c’è la Francia, appunto, dall’altra c’è invece la ricerca di un confronto con i golpisti, che vede in Italia e Germania gli apripista. “Sono dell’idea che l’approccio del nostro paese in Niger sia stato coerente, lucido e lungimirante”, dice la Rappresentante speciale. “Partire da una logica di competizione con i russi, che sono da sempre presenti nel Sahel e che resteranno lì ancora a lungo, non aiuta. Ciò che Germania e Italia stanno facendo è riconoscere che alcuni cambiamenti nella regione sono ormai avvenuti e che per  tutelare i propri interessi non c’è altra strada che il dialogo, una strada che anche io ho cercato in questi anni di perorare. E’ comprensibile una forte emotività europea quando si parla di Russia oggi, ma l’Ue deve sentirsi forte del fatto che resta il partner principale di tutti i paesi del Sahel, nonché il primo fornitore di aiuti umanitari”.

 

I francesi però non ci stanno e mal sopportano l’attivismo degli altri, Italia in primis. Il presidente Emmanuel Macron non ha apprezzato la decisione dell’Italia di mantenere un contingente di istruttori militari in Niger, né tanto meno la visita fatta a Niamey dal capo dell’Aise, i servizi segreti esterni, Giovanni Caravelli, immortalato lo scorso marzo in un bilaterale con il leader della giunta golpista, Abdourahamane Tiani. “Sin dal golpe di un anno fa, i francesi hanno interrotto ogni canale umanitario e hanno boicottato l’approccio dell’Ue in Niger”, spiega Ulf Laessing, capo del programma Sahel del Konrad Adenauer Stiftung di Berlino. “Macron non ha accettato la perdita di un terzo alleato dopo Mali e Burkina Faso e ha bloccato tutte le iniziative dei paesi dell’Ue che prevedevano di riprendere i rapporti in Niger. Ciò ha aperto la porta a Russia, Iran e Turchia in modo pericoloso e ha favorito la ripresa del flusso dei migranti verso la Libia, che era chiuso dal 2015”. Nessuno scandalo, dice allora il governo italiano: parliamo con tutti se vogliamo evitare di essere scalzati dal vero fronte sud dell’Europa, la porta d’ingresso delle rotte migratorie verso il Mediterraneo. 

“A livello europeo ho sollevato il tema della necessità di una resilienza dell’Ue, perché manca a volte la capacità di essere preparata ad assorbire il colpo delle crisi per dare risposte adeguate”, spiega Del Re. Un esempio della difficoltà europea di negoziare, tenuta in ostaggio dall’intransigenza francese, è quello della missione civile europea Eucap, che per oltre 10 anni ha visto cooperare europei e nigerini sul fronte della sicurezza. La missione però è stata chiusa il mese scorso. “Dopo il colpo di stato, l’Ue ha ridimensionato il coinvolgimento dei militari europei con la polizia del Niger e quindi la giunta ha deciso di chiudere tutto e cacciare via anche gli europei”, dice Laessing. “A ben vedere però la missione poteva essere salvata”. Ad approfittarne ci sono i terroristi islamici. Una decina di giorni fa, lo Stato islamico ha fatto evadere decine di combattenti dalla prigione di Koutoukale, mentre all’inizio del mese 14 militari nigerini sono stati uccisi in un’imboscata dei miliziani affiliati al Califfato. Almeno da un punto di vista militare, l’alleanza dei golpisti con i russi non dà frutti. 

 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.