Autocracy Inc.

Anne Applebaum ci dice che le dittature non sono un destino e come sconfiggere i loro fan

Paola Peduzzi

La candidatura di Kamala Harris ha cambiato tutto, "l'energia della campagna elettorale è passata dai quartieri generali alle persone, il copione può ribaltarsi in qualsiasi direzione", ci dice la saggista premio Pulitzer

La candidatura di Kamala Harris alla presidenza americana ha cambiato tutto, dice al Foglio Anne Applebaum, “ora c’è un confronto tra diverse generazioni e la differenza rispetto a prima è così nitida che la puoi vedere chiaramente, sono comparsi migliaia di meme e di clip online, alcuni creati dai sostenitori di Harris, altri da chi la detesta, ma l’energia della campagna è passata dai quartieri generali elettorali alle persone, il copione può ribaltarsi in qualsiasi direzione”. E’ arrivato il sospirato endorsement degli Obama, che hanno giocato la partita più cinica di sempre nell’orchestrare la fuoriuscita del presidente Joe Biden ma che ora possono dire che tutto questo sollievo è la conferma definitiva: guardatevi intorno, andava fatto. La luna di miele è epica, il sorriso di Harris – o la perenne risata da pazza, come direbbe Donald Trump – e i suoi balli sono il simbolo non soltanto di un rilancio insperato del Partito democratico, ma di gioia, tanta gioia, un buon umore che sembrava perduto e che sale dal basso verso l’alto sul ritmo di “Freedom”, canzone chiave della sisterhood americana (è di Beyoncé) ma anche un invito, una danza, una liberazione.

Ho visto l’America cambiarmi sotto gli occhi in questo modo repentino (e da considerarsi temporaneo) mentre leggevo l’ultimo saggio di Applebaum, giornalista e scrittrice da premio Pulitzer esperta di Russia che vive tra gli Stati Uniti e la Polonia (suo marito è ora il ministro degli Esteri polacco, il conservatore liberale Radosław Sikorski) e tra tanti viaggi nell’Ucraina aggredita da Vladimir Putin. Il libro pubblicato questa settimana si intitola “Autocracy Inc.” e il sottotitolo è: “I dittatori che vogliono guidare il mondo”. Racconta l’alleanza delle autocrazie globali che stanno insieme non per una ideologia in comune – infatti il paragone con la Guerra fredda, dice l’autrice, non regge – ma perché condividono lo stesso desiderio di potere, ricchezza e impunità. Per questo rappresentano una nuova minaccia, che le democrazie non hanno ancora messo del tutto a fuoco.
L’idea nasce da un articolo che Applebaum scrisse sul magazine Atlantic alla fine del 2021, in cui diceva che i “bad guys” stavano vincendo: fu molto ripreso, in particolare da chi sosteneva che l’occidente liberale era rovinato, che allora erano spesso anche gli stessi che Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina. Per questo mi ha colpito che “Autocracy Inc.” sia invece dedicato agli ottimisti: “For the optimists” perché “gli ottimisti credono che il cambiamento sia possibile – dice Applebaum – e che valga la pena provare a ottenerlo”.

Il saggio inizia nell’estate del 1967, in una riserva di caccia vicino a Vienna dove si ritrovarono imprenditori austriaci e della Germania dell’est del settore del gas e del ferro assieme a un gruppo di funzionari sovietici. “L’atmosfera deve essere stata ben strana”, scrive Applebaum, i sovietici erano andati via dall’Austria soltanto dodici anni prima, la paura di un’imminente invasione dei russi era quietata soltanto dal fatto che in Europa la presenza militare americana era grande, ma in ogni caso “ognuno in quella sala aveva interessi in comune” e infatti si accordarono di vedersi ancora, lo fecero, e nel febbraio del 1970 arrivarono a un patto che avrebbe portato alla costruzione del primo gasdotto dall’Urss all’Europa occidentale. Gli americani non erano d’accordo, ci furono molte discussioni e pure delle sanzioni, ma al fondo c’era una domanda “politica e morale” molto attuale: “Il commercio est-ovest arricchisce e rafforza lo stato sovietico e il suo impero?”. La risposta non si trovò allora e non si sarebbe trovata nemmeno dopo la dissoluzione dell’Urss, quando la parte morale della domanda scomparve perché non c’era più la variabile “autocrazia” a imporla. E’ così che il principio “Wandel durch Handel”, il cambiamento attraverso il commercio, ha preso il sopravvento, e non perché non  ce ne fosse la ragione – pace e prosperità erano già nel paradigma europeo, si trattava di allargarlo a est: “E’ notevole, a guardarsi indietro, quanto velocemente così tanti analisti e leader occidentali si gettarono sul più ottimistico degli scenari”, e diventarono miopi, distratti rispetto a quello che accadeva attorno.

Applebaum non fa un sermone moralista sulla cecità delle democrazie, non le importa di alzare il ditino e segnalare che cosa non abbiamo visto o abbiamo sottostimato, mette in fila i fatti, tantissimi fatti  – in molte parti del mondo, dalla Cina al Venezuela, passando per la Bielorussia e lo Zimbabwe, stando molto in Russia  – e ricostruisce quali sono i tratti che tengono insieme l’alleanza delle autocrazie, cui aggiunge “Inc.” perché appunto l’ideologia conta – è l’ideologia anti occidentale – ma non è solo questa che va smontata, serve occuparsi degli interessi comuni, di soldi e di potere e di nemici, “cioè noi”. L’Autocrazia Inc. “offre ai suoi membri non soltanto fondi e sicurezza, ma anche una cosa molto meno tangibile: l’impunità”, scrive Applebaum, ed è per questo che ora questa “società” non si cura più di essere criticata, usa la violenza e la repressione e si protegge al suo interno, convinta che alla fine, in questa trama di sostegni incrociati, prevarrà. E’ questa convinzione che interessa ad Applebaum: come si nutre, come resiste, come la si può sconfiggere.

L’ultima parte del saggio è dedicata proprio agli strumenti per spezzare questa convinzione, sapendo che non si combatte un’unica idea monolitica – ci sono paesi che sono mezze autocrazie e mezze democrazie e in cui esiste anche un dissenso interno – ma che “la lotta per libertà non è una competizione con stati autocratici specifici, ma contro comportamenti autocratici, ovunque questi siano”: per questo Donald Trump e la torsione che ha imposto al sistema democratico americano, dall’assalto al Congresso del 6 gennaio alle tante tecniche manipolatorie nell’informazione, riemergono di continuo, perché l’ex presidente condivide con l’Autocrazia Inc. una mentalità cleptocratica “da transazioni”, per cui tutto, la politica, gli equilibri globali, possono essere oggetto di uno scambio (criminale talvolta). Se non si combattono questi comportamenti ovunque si presentano, se non si è nemmeno in grado (o non si vuole) riconoscerli, la convinzione autocratica di vittoria non sarà sconfitta. Ma la premessa di Applebaum è che nessun popolo è fatto per voler vivere in una dittatura, “l’autocrazia è un sistema politico, un modo di strutturare la società, uno strumento di organizzazione del potere, non è un tratto genetico, nessuna nazione è condannata per sempre alla dittatura, esattamente come nessuna nazione ha la garanzia di rimanere democratica”. Così l’ottimismo non è una via di fuga color confetto, ingenua e pure un po’ deresponsabilizzante, tutto il contrario: “Conosco davvero tante persone che vivono in stati autocratici, in Russia, in Iran, in Venezuela – dice – o che sono in esilio, e rimangono dedicate alla volontà di rendere migliori le vite degli altri cittadini come loro. Se loro credono che questo impegno conta, che è importante, allora dobbiamo crederci anche noi”.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi