Giochi made in China

Cosa c'è dietro la sottomissione delle istituzioni olimpiche nei confronti degli atleti cinesi

Priscilla Ruggiero

A Parigi gareggeranno alcuni nuotatori risultati positivi ai test antidoping  e mai sospesi. Le ombre dietro l'agenzia antidoping Wada, il precedente di Tokyo e le minacce del Cio a un'indagine americana

Undici dei ventitré nuotatori cinesi risultati positivi ai test antidoping nel gennaio 2021, a pochi mesi   dall’inizio dei Giochi olimpici di Tokyo, sono regolarmente in gara in quelli di Parigi  senza essere mai stati sospesi. Già prima della cerimonia di apertura, diversi atleti internazionali hanno commentato con indignazione  la loro presenza alle Olimpiadi  e la gestione del caso da parte della Wada,  l’agenzia mondiale antidoping. Il nuotatore australiano Zac Stubblety-Cook in una conferenza stampa ha detto che il sistema di test antidroga “ha fallito” e  che deciderà il giorno stesso della gara, il 31 luglio, se protestare contro la presenza del  cinese Qin Haiyang  a Parigi: “Sono un atleta corretto e cerco di rispettare le regole, spero solo che i miei avversari facciano lo stesso”, ha detto. Qin è tra gli atleti che risultarono positivi ai test del 2021, secondo una lunga inchiesta pubblicata dal  New York Times ad aprile, e risultò positivo anche  a un altro farmaco proibito nel 2016 e nel 2017 , ma gareggiò  lo stesso a Tokyo,  e ha   battuto il record dei 200 metri di Stubblety-Cook ai campionati mondiali dell’anno scorso. 

 


Giovedì, prima della cerimonia di apertura, Qin ha scritto su Weibo che le polemiche dimostrano soltanto che  “le squadre europee e americane si sentono minacciate dalle prestazioni della squadra cinese negli ultimi anni”. Ha anche insinuato dei  tentativi di boicottaggio, affermando che i test condotti sugli atleti cinesi  ai giochi di Parigi  sono un tentativo di “alterare il loro ritmo” e compromettere le prestazioni di Pechino alle Olimpiadi.  In realtà l’aumento dei test sugli atleti cinesi  è una diretta conseguenza dello scandalo reso pubblico dall’indagine che il New York Times ha condotto insieme con   l’emittente tedesca Ard, e  che ha gettato parecchie  ombre prima sulle Olimpiadi di Tokyo, e ora su quelle di Parigi:  pochi mesi prima dei Giochi di Tokyo ventitré atleti cinesi risultarono tutti positivi alla proibita  trimetazidina, ma fu   consentito    a tredici di loro gareggiare lo stesso – vinsero tre ori,  la nuotatrice Zhang Yufei vinse alla staffetta andando più veloce  della squadra americana per soli quattro decimi di secondo. I risultati vennero tenuti nascosti nonostante l’obbligo della Wada  di rendere pubblici i test positivi e venne ritenuta credibile la versione della Chinada, l’agenzia antidoping cinese, che giustificò i risultati con una contaminazione  nel cibo della cucina di un hotel in cui avrebbero alloggiato gli atleti. I funzionari della Wada hanno affermato che all’epoca fu impossibile avviare un’indagine indipendente in Cina a causa della pandemia, così diede per buona       l’assunzione “involontaria” del farmaco proibito, promettendo di aumentare il livello dei test sugli atleti cinesi in gara a Parigi. 

 


L’Usada, l’agenzia antidoping americana, non ha mai creduto a questa versione: la  trimetazidina è una pillola, non è stato trovato nessun membro del personale della cucina o   dell’hotel che  la assumesse e non è chiaro come sia finita nei piatti degli atleti. Le autorità americane hanno così aperto un’indagine su come sia stato gestito il caso, affermando che  Wada e Chinada avevano “nascosto  i test positivi sotto il tappeto non riuscendo a seguire in modo equo e uniforme le regole globali che si applicano a tutti gli altri paesi al mondo”. La Wada ha praticamente ignorato le accuse, mentre il Comitato olimpico internazionale (Cio) mercoledì, dopo aver assegnato i Giochi invernali del 2034 a Salt Lake City, ha minacciato di poter rivedere la decisione – insieme a quella sull’assegnazione dei Giochi estivi del 2028 a Los Angeles –   se l’Fbi non smetterà di indagare sulla vicenda. L’amministratore delegato di Usada, Travis Tygart, ha definito “scioccante”   vedere il Cio   “abbassarsi alle minacce in un apparente tentativo di mettere a tacere chi cerca risposte”.

 


Il sospetto è che la Repubblica popolare sia  diventata ormai indispensabile per i fondi finanziari di mega eventi sportivi come le Olimpiadi: un eventuale boicottaggio da parte di brand e sponsor cinesi sarebbe potenzialmente disastroso. E così, già alle Olimpiadi  invernali di Pechino  2022 il Cio venne accusato di sottomettersi alla Cina dopo lo scandalo legato a Peng Shuai,  la tennista cinese che sparì dopo aver accusato l’ex vicepremier Zhang Gaoli di averla costretta a un rapporto sessuale. Il presidente del Cio, Thomas Bach, inizialmente   la incontrò nella “bolla olimpica”, sotto gli occhi attenti del Partito comunista cinese, poi ignorò la questione. Peng Shuai, nel frattempo, non è mai tornata a gareggiare. 

 


Anche la storia di doping tra gli atleti olimpici cinesi è lunga, nel 1994 a Hiroshima risultarono positivi sette sportivi,  quattro nel 1998   a Perth, in Australia. Nel 2014 il nuotatore cinese Sun Yang utilizzò la    trimetazidina, e  la mezzofondista Wang Junxia denunciò di essere stata forzata, assieme ad altri sportivi, ad assumere sostanze illecite.  Gli organi di stampa  di Pechino hanno sempre commentato le accuse come propaganda anticinese, censurando le notizie  a riguardo: sullo scandalo della Wada, il controllo sui commenti online è   rigidissimo. 

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