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fenomeni culturali

Sì, c'è anche un fascismo americano. Non di regime, ma di mentalità

Alfonso Berardinelli

Trump conta su un populismo individualistico, più che di massa. La libertà individuale è infatti uno dei grandi miti americani e non è affatto inconciliabile con uno o più tipi di mentalità fascista

Nell’eventualità o in prossimità dell’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti si sente il bisogno di parlare di qualcosa che si tende a mascherare o dimenticare: il fascismo americano.
Il presupposto generale al discorso su un tale tema è l’esistenza di vari fascismi, che vanno al di là del fascismo storico, quello europeo e in particolare italiano fra le due guerre. Si tratta dei fascismi specifici di diverse culture e storie nazionali (Sudamerica, paesi islamici, Asia, Russia). C’è poi un fascismo politico e c’è un fascismo culturale e sociale prepolitico, che nasce e può rinascere convivendo con forme politiche di governo e di struttura statale liberaldemocratica. Autoritarismo, dittatura, dispotismo sono fenomeni diffusi in tutto il mondo e come è noto si tratta di regimi parafascisti che nascono da colpi di stato e da eventi definibili o sedicenti rivoluzionari. Il fascismo italiano è stato senza dubbio un modello, che non ha tuttavia realizzato un vero e proprio totalitarismo.

Senza risalire all’antichità (Egitto, Assiria, Sparta, Roma) in Europa le forme più avanzate e perfette di controllo politico sulla società da parte dello stato sono quelle della Germania nazista e della Russia stalinista. Ma da tempo abbiamo constatato la presenza di culture e di comportamenti fascisti e fascistoidi nella vita sociale, senza che questo presupponga o implichi una strategia di conquista e trasformazione del potere statale. Il fascismo è diventato una tendenza culturale e psicosociale che convive con regimi formalmente democratici. È un fascismo di mentalità e di costume che tende anche a essere antipolitico e anarcoide, come del resto erano all’inizio anche i movimenti e le organizzazioni di Mussolini e di Hitler.
Se il punto di vista rimane quello europeo e classico, parlare di fascismo americano può apparire un controsenso, una provocazione. Si ripete di continuo che gli Stati Uniti sono “la prima democrazia del mondo” e che senza il suo contributo militare nella Seconda guerra mondiale il nazismo e il fascismo non sarebbero stati sconfitti ed eliminati. La libertà torna in Europa con l’arrivo dell’esercito americano e il suo sacrificio in vite umane.
Non intendo parlare di Trump come di un fascista americano in politica, ma del fascismo sociale e culturale caratteristici del suo elettorato, tutt’altro che omogeneo e politicamente orientato in senso univoco. Lo “stato d’animo” americano nel momento in cui Trump potrebbe diventare di nuovo presidente credo che aiuti a capire quale può essere il contributo americano alla diffusione di un neofascismo anche in Europa. Credo che sia anzitutto interessante il carattere specifico del populismo americano su cui conta Trump, un populismo individualistico più che di massa. L’abuso delle armi è per esempio un fenomeno di estremismo individuale coltivato in solitudine: non mobilita le masse ma i singoli. La libertà individuale è infatti uno dei grandi miti americani e non è affatto inconciliabile con uno o più tipi di mentalità fascista.
Il livello di un tale fascismo non di regime ma di mentalità è stato sempre alto in America e ha le sue radici nella convinzione che l’individuo abbia un sano e inalienabile diritto di farsi giustizia da sé, perché la politica e lo stato sono lontani e tendono alla lentezza burocratica, se non all’indifferenza morale.
In un libro del 1981, America now, la diagnosi sulla condizione della società nel proprio paese formulata dall’antropologo Marvin Harris era impietosa:

“Qui si parla di sette religiose, di criminalità, di merci scadenti (…) Di vecchie signore aggredite e violentate, di gente buttata sotto i treni in corsa e di sparatorie ai distributori di benzina (…) La violenza criminale ha raggiunto record assoluti (…) Non c’erano mai stati tanti divorzi e famiglie in pezzi e cresce a vista d’occhio il numero degli omosessuali. C’è stata anche una proliferazione di culti ‘in stile California’, un gran germogliare di interesse per lo sciamanismo, l’astrologia, la stregoneria, l’esorcismo, il fondamentalismo e le sette della rivoluzione mentale” (pp. 7-8).
Dopo mezzo secolo qualcosa può essere cambiato, forse in meglio o forse in peggio. La cosa certa è che un antropologo di fama che ha studiato popolazioni e culture in America del sud, in India e in Africa non può essere facilmente sospettato di fantasticare quando parla della nazione in cui è nato e cresciuto. Occultismi, fondamentalismo, mitologie e fedi paranoiche hanno sempre avuto un notevole ruolo nella nascita di molte varianti di fascismo, a cominciare dalla formazione del carattere di individui come Mussolini e Hitler.

Nello studio delle origini culturali del primo fascismo, George Mosse ha notato subito l’importanza dell’“immaginario esistenziale” e il suo fascino nell’accrescere la forza di attrazione dei movimenti e dei regimi fascisti. Le sbrigative menzogne attivistiche e agonistiche, così spesso usate da Trump, hanno qualcosa di settario, mitologico e palingenetico che prelude alla legittimazione della violenza: uno dei più solidi fondamenti di ogni fascismo.