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L'editoriale del direttore

Eppure, il bicchiere delle democrazie liberali è ancora mezzo pieno

Claudio Cerasa

Più ci si guarda attorno, più sembra di essere circondati dal disordine. Ma l’occidente che si è unito per  l’Ucraina,  la rinnovata fiducia nell’Europa, con i sovranisti ingabbiati dal voto, i segnali di ottimismo che arrivano dall’America fanno ben sperare per il futuro

Sì, è vero: a volte ci si guarda attorno e tutto sembra andare per il verso sbagliato e più ci si guarda attorno, più sembra di essere circondati dal disordine, dal caos, dalla paura, dall’instabilità, dal populismo e dall’estremismo. Capita sempre, anche a noi, di osservare il bicchiere mezzo vuoto e di chiedersi quando la parte mezza piena sarà un po’ più ricca di quella mezza vuota. Capita sempre, anche a noi, di guardare quello che succede in giro per l’Europa e di chiedersi, un po’ tramortiti, quale sarà la prossima slavina, quale sarà il prossimo ostacolo, quale sarà il prossimo problema. E poi però, dopo qualche istante di panico, capita spesso che, dopo aver fissato con preoccupazione il bicchiere mezzo vuoto, ci si accorga improvvisamente che il bicchiere mezzo vuoto in realtà è più che mezzo vuoto ed è anche più che mezzo pieno.

 

E se siete alla ricerca di un po’ di ordine, e di un po’ di ottimismo, per prepararvi ai prossimi mesi, e per avere una chiave di lettura diversa anche dei mesi appena trascorsi, potremmo dire che in attesa di fare i conti con l’apocalisse, politica e anche economica, i segnali che ci portano a tirare un sospiro di sollievo per le apocalissi mancate sono molti, e ci riguardano da vicino. Lo spunto di riflessione da cui parte il nostro ragionamento lo ha offerto la scorsa settimana il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando, nel suo noto discorso alla cerimonia del Ventaglio, ha notato quanto segue: “Chi non ricorda le parole di più di uno, tra capi di stato e di governo della Nato che, appena tre anni fa, la definivano in stato di accantonamento, per usare un termine davvero riduttivo rispetto alle espressioni adoperate?”. Senso del ragionamento: la guerra è terribile, l’aggressione all’Ucraina è stata una tragedia, ma se si vuole provare a osservare il bicchiere mezzo pieno, riavvolgendo il nastro degli ultimi due anni, non si può non notare che almeno finora l’effetto dell’invasione dell’Ucraina è stato opposto rispetto a quello previsto dalla Russia: l’occidente si è unito, l’Europa si è compattata e la Nato, che Macron anni fa diceva di essere in stato di morte cerebrale, si è rianimata, si è ingrandita e ha spinto i paesi membri a rafforzare i propri comparti difensivi.

 

Lo stesso discorso ottimistico, giorni fa, è stato fatto sul Financial Times dal bravissimo Janan Ganesh, che provando a districarsi tra i molti problemi che ci sono in giro per il mondo, compreso l’elefante nella stanza di nome Donald Trump, ha messo a fuoco un tema mica male: la resilienza delle due istituzioni più importanti dell’occidente. La Nato, naturalmente, e l’Unione europea. Due entità che, appena cinque anni fa, apparivano in decadenza e che oggi invece vivono una seconda giovinezza. Scrive Ganesh che, secondo un sondaggio diffuso da YouGov nel mese di giugno, un referendum sull’adesione all’Europa oggi si tradurrebbe in una schiacciante vittoria del Remain in ciascuna delle grandi democrazie dell’Unione europea, compresa la Gran Bretagna. E ancora. L’Eurobarometro, che monitora gli elettori europei per conto della Commissione, ha rilevato nel suo ultimo sondaggio che il 74 per cento degli intervistati oggi “si sente” cittadino dell’Ue, contro il 25 per cento di chi invece non si sente europeo. Dieci anni fa, quei numeri in Europa avevano altre dimensioni: 59 contro 40. E ancora. Il Pew Research Center riferisce che l’Unione europea riceve valutazioni ampiamente favorevoli a livello globale, e nei 24 paesi in cui sono stati condotti i sondaggi il 66 per cento degli intervistati ne ha espresso una valutazione positiva. Tutto questo, dice Ganesh, che sull’ottimismo non è secondo a nessuno, ha avuto degli effetti evidenti anche nelle ultime tornate elettorali. Marine Le Pen ha dovuto ammorbidire la sua linea sull’Europa. Giorgia Meloni, voto su Ursula a parte, è stata con l’Unione europea più costruttiva del previsto. Il ritorno di Donald Tusk come leader della Polonia è avvenuto, in parte, anche perché gli scontri dei suoi predecessori con Bruxelles sono finiti male. E in tutto il continente, dice sempre l’editorialista del Financial Times, tutto sommato si può dire che per quanto possano essere estremisti i partiti sull’immigrazione, non vi è nessuno che anche lontanamente proponga oggi l’uscita dall’Ue.

 

E in fondo, a proposito di ottimismo, l’ultimo mese europeo ha offerto qualche spunto in più per riflettere su una minaccia che qualcuno aveva ventilato dopo le europee: occhio, l’Europa si sta spostando verso l’estrema destra. Un mese e mezzo dopo le europee, il risultato è questo. Ursula von der Leyen ha governato la Commissione europea negli ultimi cinque anni e la governerà anche per i prossimi cinque. Roberta Metsola ha governato il Parlamento europeo negli ultimi cinque anni e ora è lì a guidare il Parlamento europeo anche per i prossimi anni, vedremo se con una staffetta con un socialista. L’alleanza tra Pse, Ppe e Renew è ancora lì e si è semplicemente allargata ai Verdi. Macron, che dopo il voto delle europee sembrava già un nome del passato, è ancora lì, saldo, stabilizzato, e nelle condizioni di guardare al futuro, e nell’attesa di capire quale sarà il premier che governerà in Francia è riuscito a confermare Yaël Braun-Pivet, che fa parte di Ensemble pour la République, come presidente dell’Assemblea nazionale con 220 voti, grazie al sostegno compatto della destra Repubblicana. Marine Le Pen, che il 9 giugno sembrava essere la nuova padrona d’Europa, è stata respinta con perdite alle parlamentarie francesi. La sinistra estremista difficilmente in Francia avrà qualche ruolo di potere al governo. E, ancora, i patrioti europei che dovevano spostare il baricentro dell’Europa verso destra si sono ritrovati ingabbiati dentro un cordone sanitario.

 

L’unico governo forte in Europa, partecipato dai sovranisti, si è messo nelle condizioni di essere irrilevante. E persino la Hard Brexit, rispetto al 2016, sembra essere solo un incubo del passato. Certo, è ovvio, e qui arriviamo all’elefante nella stanza, se un presidente di estrema destra guidasse la Francia dal 2027, esisterebbe la possibilità che l’Europa imploda. Così come esiste la possibilità che la Nato venga indebolita con una non impossibile presidenza Trump. Ma siccome siamo ottimisti fino a volerci fare del male, fino a volerci illudere, non possiamo non far nostro un altro utile ragionamento sviluppato, sempre sul Financial Times, da un altro grande commentatore, Gideon Rachman, che parlando nel suo podcast settimanale con Jacob Heilbrunn, direttore della rivista National Interest, è arrivato a dire che Kamala Harris potrebbe vincere e, udite udite, potrebbe vincere alla grande. Heilbrunn ammette che l’Europa dovrebbe essere “terrorizzata” per la prospettiva di una vittoria trumpiana. Perché, dice, con Trump ci sarebbe un ritorno a un’America degli anni Venti e Trenta, con ampie restrizioni all’immigrazione, dazi elevati, divorzi con l’Europa e con l’Asia e condizioni perfette per replicare uno scenario simile alla grande depressione del 1929. Ma Heilbrunn dice anche che Harris è gravemente sottovalutata dai suoi avversari. “Penso che sarà una candidata formidabile, ben posizionata per fare a pezzi Donald Trump su una serie di questioni, che vanno dall’aborto al controllo delle armi ai diritti delle donne. E non credo che lui abbia idea di cosa lo aspetta. E’ un’ex procuratrice e nella sua ultima apparizione alla Cnn subito dopo il disastroso dibattito di Biden, ha abilmente spostato l’argomento da Biden alle carenze di Trump. E questo, per me, è stato il primo segno che Harris è davvero maturata come vicepresidente”. Gli incubi in giro per il mondo, anche dal punto di vista politico, sono molti, ma se volete provare a mettere insieme i puntini dell’ottimismo lo spazio c’è, e il bicchiere delle democrazie liberali, nonostante Trump, Le Pen, AfD e patrioti, è ancora più mezzo pieno che mezzo vuoto, e finché dura vale la pena goderselo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.