l'incontro
L'equilibrismo di Meloni con la Cina
L’operazione seduzione a Pechino. La Via della seta diventa spirituale (ed elettrica)
Lo “spirito” della Via della seta ha aleggiato per tutto il tempo nella residenza di stato Diaoyutai, l’antico complesso dove la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il leader cinese Xi Jinping. Meloni è il primo capo di governo italiano sin dal 2019 in visita ufficiale nella Repubblica popolare cinese (visita ufficiale, e non di stato, è un dettaglio non di poco conto nel cerimoniale diplomatico): cinque anni fa a Pechino era andato Giuseppe Conte, l’uomo che aveva fatto entrare l’Italia nel grande progetto strategico cinese della Via della seta. Meloni invece è la premier che ha fatto uscire l’Italia dal progetto, considerato sensibile e controverso, cercando però di mantenere sempre un certo equilibrismo con la leadership cinese, e sostituendo di fatto l’accordo con un “partenariato strategico” Roma-Pechino che rassicura tutti. “Lo spirito della Via della seta di pace e cooperazione, apertura e inclusione, apprendimento reciproco e mutuo beneficio è un tesoro condiviso da Cina e Italia”, avrebbe detto, con il consueto linguaggio oracolare, Xi a Meloni, secondo quanto riportato dalla stampa cinese. E l’espressione in effetti non è mai scomparsa, nemmeno durante le missioni di ministri italiani in Cina nell’ultimo anno e soprattutto durante quelle – ben più frequenti – di autorità del Partito comunista cinese in Italia. Per la stampa cinese, il significato della visita di Meloni s’interpreta quasi in senso riparatorio, non solo per l’uscita dalla Via della seta ma anche per una visione “ideologica” che secondo i cinesi ha guidato le ultime posizioni delle grandi piattaforme internazionali occidentali come il G7, di cui Meloni è presidente di turno, e la decisione dell’Ue di attutare una politica più cauta con Pechino, anche sul piano commerciale.
Lo staff di Palazzo Chigi è stato particolarmente attento a costruire una visita distensiva con Pechino: Meloni è scesa dall’aereo, sabato scorso, mano nella mano con la figlia Ginevra, ha visitato un museo e poi ha partecipato a una festa di compleanno tradizionale cinese. Per il governo italiano, la visita è partita ufficialmente domenica, con l’apertura dei lavori del business forum Cina-Italia insieme con il premier cinese Li Qiang. Ma non c’è stato alcun colloquio informale con Xi Jinping: solo la riunione, dove secondo il resoconto pubblicato da Palazzo Chigi i due avrebbero parlato anche “della guerra in Ucraina”, “dei rischi di un ulteriore aggravamento della situazione in medio oriente” e delle “crescenti tensioni nell’Indo-Pacifico”. Ma dell’Ucraina non c’è traccia nella versione del colloquio offerta da Pechino, nonostante il ministro degli Esteri cinese Wang Yi nei giorni scorsi abbia incontrato in rapida successione sia il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba sia quello russo Sergei Lavrov. C’è stata però molta attenzione al business, in particolare all’auto elettrica, e al potenziale passaggio dell’Italia a una posizione più pro Cina in ambito europeo (cioè contro i dazi della Commissione europea) in cambio di investimenti e produzione di auto da parte di mega compagnie cinesi sul nostro territorio.
Secondo la Cgtn, Meloni avrebbe detto che “l’Italia si oppone al ‘disaccoppiamento’ nelle catene di approvvigionamento globali e al protezionismo, ed è disposta a svolgere un ruolo attivo nella promozione di relazioni più profonde e concrete tra l’Ue e la Cina”. Un anno fa, il partito di governo votò contro il Green deal di Ursula von der Leyen, Meloni disse che “non ha alcun senso autoimporsi il divieto di produrre auto a diesel e benzina dal 2035 e condannarsi a nuove dipendenze strategiche come l’elettrico cinese”. Per ora gli unici due paesi europei dove le aziende cinesi hanno deciso di aprire impianti di produzione di auto per aggirare i dazi sono la Spagna e soprattutto l’Ungheria di Viktor Orbán, ormai sempre più legato a Pechino (e a Mosca) e che sabato a Baile Tusnad, città a maggioranza ungherese in Romania, ha pronunciato un discorso violentemente anti America e anti Nato. Nella serata di ieri, la presidente del Consiglio Meloni è volata a Shanghai, da dove, dopo alcuni incontri istituzionali, ripartirà per Roma.
“I tentativi del primo ministro Meloni di ‘rilanciare’ le relazioni bilaterali offrono sia opportunità per l’economia italiana sia il pericolo di manipolazioni politiche da parte di Pechino”, spiega al Foglio Isaac Stone Fish, fondatore e ceo di Strategy Risks, specializzato in rapporti con la Repubblica popolare. “I leader europei a volte pensano che collaborare con Pechino possa portare solo benefici”, quello che nel linguaggio cinese si chiama “win-win”. “Ma non è così”, dice Stone Fish: “L’impegno con Pechino comporta sempre dei rischi. La migliore strategia della premier Meloni è quella di avere le idee chiare sia sulle opportunità sia sulle sfide, e di assicurarsi che i suoi partner europei e americani sappiano che lei li metterà al di sopra di Pechino, e che manterrà l’attenzione sulla sicurezza nazionale e sugli interessi condivisi europei e americani”.
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