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La nuova regina britannica Victoria

Cristina Marconi

La moglie di Starmer, prima first lady di religione ebraica. Non un trofeo del marito, ma complice nella politica

Ai britannici, si sa, piace rispecchiarsi nelle famiglie degli altri, purché incarnino bene i valori del momento. Lo sa pure la Royal Family, che deve sembrare eterna e adattarsi discretamente alle mode. E allora guardiamoli, questi valori: la monogamia sexy della coppia complice, due figli, bella casa, belle carriere, vita di quartiere, molto impegno politico, understatement come regola di vita, un atteggiamento fermo davanti agli eccessi della condivisione, l’aria ragionevole di chi sa anche scherzare. Keir Starmer e Victoria Alexander sono i vicini che vorresti avere, quelli che ti segnalano che sei arrivato nel quartiere giusto. Lui, secchione con gli zigomi, inseguito da leggende piacevoli, ex fidanzate intelligenti, collega di Amal Clooney, forse modello storico per il Mark Darcy di “Bridget Jones”. E poi la sua bella consorte Victoria Alexander, così discreta che neanche Wikipedia sa quanti anni abbia esattamente. Cinquanta? Cinquantuno? E i loro due figli come si chiamano? Perché non siamo bombardati di foto dei due?

È rilevante, quando accanto al primo ministro nei momenti importanti fa la sua comparsa una first lady spontanea e sorridente, in un bel rosso papavero squillante e con le scarpette argentate con il tacco basso, seppure con l’aria di chi ha avuto una mattinata piena e ha qualcosa da fare nel pomeriggio. Lui accanto a lei sembra un Lancillotto tutto impettito, il suo “Sir” prende una coloritura cavalleresca, ma lei non sembra una damigella in pericolo, e intorno a questa coppia visibilmente armoniosa sta prendendo vita la Camelot Middle Class incaricata di interpretare la prossima èra britannica, per usare una terminologia cara alla loro cantante preferita, Taylor Swift. 
Vic Starmer ha fatto sapere al paese fin da subito che non avrà tempo per fare la first lady decorativa e che non intende cambiare le sue abitudini. Prima ha lasciato che Keir lo dicesse in giro, poi ha illustrato il concetto sparendo per tutta la campagna elettorale, salvo riemergere radiosa in un pugno di occasioni importanti, come a dire: “Quando serve ci sono, ma non esageriamo”. Con lei muore la first lady come la conosciamo, disponibile, presente, e riprende quota una vecchia legge della seduzione, caduta in disgrazia in questi anni di sovraesposizione: lasciarsi desiderare aumenta l’interesse. E infatti i giornali sono impazziti e i vestiti che indossa Victoria Starmer vanno a ruba, con somma gioia del Made in Britain. 
Se Rishi Sunak ha portato le luci di Diwali, la festa indiana, sugli scalini di Downing Street, con gli Starmer arriverà per la prima volta lo shabbat. Perché Victoria è la prima first lady ebrea del Regno Unito, il padre di lei ha origini polacche, la famiglia è partita prima della Seconda guerra mondiale, la madre si è convertita e molti loro parenti vivono in Israele. Frequentano la sinagoga liberale di St John’s Wood. “Ogni settimana c’è una challah e i bambini dicono il kiddush con Bernard, o a volte con la sorella di Victoria su Zoom. Le loro radici ebraiche sono importanti, e ci teniamo molto che i ragazzi le conoscano, le capiscano”, ha raccontato lui, che si è preso critiche feroci per aver detto che il venerdì intende staccare alle 6 per stare con la sua famiglia, a meno di imprevisti o emergenze. I corbynisti odiavano Victoria, da sempre sospettano ci sia la sua mano dietro la campagna contro l’antisemitismo nel partito, gestita con piglio deciso e implacabile e primo assaggio delle capacità gestionali di Starmer. E visto che un’etichetta di Lady Macbeth non si nega a nessuno, ce l’ha avuta anche lei. 

Narra la leggenda che il primo commento di Victoria su Keir sia stato: “Ma chi diamine si crede di essere questo?”, dopo che Starmer, avvocato già noto, aveva chiesto a lei, più giovane e di grado inferiore, se la documentazione che aveva preparato su un caso che stavano seguendo entrambi fosse accurato. “Tipico suo”, ha riferito lui dopo aver raccontato l’aneddoto un milione di volte, sempre con un sorriso beato. Poi l’incontro a una cena formale, un primo appuntamento al pub, l’inizio della storia e poi una vacanza in Grecia in cui lui si è inginocchiato e le ha chiesto di sposarlo e lei ha risposto: “Ma non ci vorrebbe un anello, Keir?” e insomma, una storia normale, romantica, come tante, viaggio di nozze ad Amalfi, lei poi resta incinta, nel 2008 nasce il primo figlio, poi arriva la seconda, quella di cui non si conosce il nome. Sono grandi, adulti, lui ha più di quarantacinque anni, lei circa dieci di meno, sembrano tutti e due più giovani, si consultano sulle cose importanti, lei è brava a farlo ridere perché lui, di suo, è serioso e un po’ più tosto di quello che la sua immagine bonaria lascia immaginare. Il modo in cui questa settimana ha sospeso per sei mesi sette deputati rei di averlo votato una mozione sull’abolizione del limite dei due figli per gli assegni familiari, tema di sinistra che sta rimandando a quando ci saranno i soldi, dice molto del suo carattere deciso e di quanto sia pronto a fare per sembrare responsabile, prima ancora che compassionevole. 
In famiglia, la prima ad aver fatto politica è stata in realtà Victoria. Iscritta a legge e sociologia negli anni Novanta, vinse le elezioni all’Università di Cardiff promettendo che si sarebbe battuta contro la stretta dell’allora premier Tory John Major sui sindacati studenteschi. I giornali dell’università erano in visibilio per il piglio fermo e il carisma di questa fanciulla che si firmava Vic! e che aveva messo sui volantini una foto in cui appariva solare e “baciata dal vento”, con i capelli sbarazzini e la camicia di jeans. Già allora si preoccupava quando in sede negoziale la sinistra tendeva a “isolarsi dal dibattito politico generale”. Foto lontane di quel tempo andato la mostrano carina, paffuta, con gli occhiali e il maglione largo. Nella manica – e ci sono prove – teneva un ratto da compagnia. 
Un po’ di irriverenza continua a piacerle. Il giorno dopo la vittoria storica del Labour, con gli occhiali da sole per nascondere i segni dei festeggiamenti, Vic se n’è andata alle corse dei cavalli a Sandown Park, come a dire: se volete criticarmi, fatelo subito così risparmiamo tempo, altro che armocromista, e pazienza se qualcuno non è d’accordo. E quindi eccola comparire alle Coral-Eclipse Stakes, che si tengono ogni anno in memoria di Eclipse, saetta del Settecento celebrata con un bell’assegno da 10mila sterline firmato Leopold de Rothschild. La passione per i cavalli è di famiglia, ma alla first lady, vegetariana, non piacciono le corse a ostacoli, che ritiene invece crudeli. 

Sul fatto di essere arrivati a Downing Street, Sir Keir ha detto che Victoria “è la mia complice totale: non lo ha scelto, ma è assolutamente centrale”, anche se avrebbe preferito vederlo continuare con la carriera da giurista e avvocato invece che avere la vita di tutta la famiglia stravolta dai riflettori internazionali, dalle polemiche politiche e dalla stampa più invadente del mondo. Lei non avrebbe voluto neppure lasciare quella che chiama per scherzo “la mia constituency”, ossia Kentish Town, bellissimo quartiere del nord di Londra dove vive quella borghesia quieta, fattiva, colta e di certo meno inamidata di quella dei quartieri del West. Ma non sono una coppia politica, la loro non è la Islington di Tony e Cherie, o del ristorante Granita dove Blair e Gordon Brown si spartirono il potere. La loro dimensione è quella della comunità. Vic è stata per anni rappresentante dei genitori alla Eleanor Palmer, una di quelle scuole statali londinesi che grazie all’impegno dei genitori mantengono dei livelli da istituti privati. “Lei è bella e silenziosa”, e quando parla è per fare battute “sulla maternità e l’essere genitori”, racconta al Foglio una che la conosce bene e che la descrive come una “tipica mamma del Nord di Londra”, pratica e curata, amichevole, discreta, che per un po’ di tempo non ha lavorato per occuparsi dei figli e poi è stata assunta dall’Nhs, “e il suo bel sorriso si è allargato” rispetto a quando stava a casa. Insomma, una donna che ci tiene ai suoi spazi e che forse proprio per questo non ha voglia di rinunciare alla sua carriera, al suo mondo, al suo pub preferito, il delizioso The Pineapple. Il suo settore è la terapia occupazionale, che serve ad aiutare chi ha delle disabilità a superare gli ostacoli. Un buon punto di vista per vedere i danni al settore sanitario britannico, uno dei problemi più gravi che Starmer si trova ad affrontare. 
In quella casa molto amata, c’è stato un brutto incidente: ad aprile scorso, rientrando a casa con suo figlio, Victoria Starmer ha trovato nel vialetto di ingresso davanti alla porta tre file di scarpe per bambini piccoli, messe da alcuni manifestanti filopalestinesi insieme a uno striscione “Starmer ferma il massacro”, seguito da un messaggio in cui si chiedeva all’allora leader laburista di smettere di mandare armi britanniche in Israele. La mano era quella di Youth Demand, sezione giovanile di Just Stop Oil. “Poteva sembrare una protesta pacifica se non fosse stata davanti a casa mia”, ha detto, chiarendo che si è “sentita male, ad essere sincera” per quello che è successo. E la situazione in medio oriente ha messo i due giovani Starmer nell’occhio del ciclone anche a scuola, motivo in più per cercare di tenerli lontani dalla stampa, dallo sguardo del mondo, per preservare il loro diritto di sbagliare, di vivere una vita normale. 

La nuova castellana di Downing Street, si diceva, non ha nessuna intenzione di rilasciare interviste e di dare al suo ruolo pubblico più spazio di quello necessario. Certo, JoJo il gatto di casa, dovrà fare amicizia con Larry, il felino di Number 10, e non è detto che ci riesca. Al contrario della giovane signora Johnson, per sempre Carrie Antoinette dopo quella carta da parati dorata dai costi stellari con cui sorprese il paese durante la pandemia, qui ci si aspetta uno stile sobrio ma non noioso, un profilo basso che non rinuncia a un bel sorriso. Tanto le pareti di Carrie sono state già ridipinte da Akshata Murthy, la moglie miliardaria di Sunak, una che doveva impegnarsi parecchio per sembrare almeno un po’ normale. Tatler, grande rilevatore di questioni di classe, fa notare che anche Victoria Alexander ha fatto scuole private, ma che non avendo nessun istinto radical chic risulta simpatica. 
Se Margaret Thatcher si vestiva in modo da rievocare lo stile di Elisabetta II, puntando al moltiplicatore di regalità, nel caso della nuova first lady c’è uno sguardo a Kate Middleton, o quantomeno alla lezione che la duchess ha dato, o imparato, in questi anni: tanti colori, vestiti appena possibile, giacche e cappotti e geometrie interessanti per incorniciare il viso senza creare confusione, un uso molto moderato dei pantaloni, non tanto per apparire all’antica quanto per evitare l’effetto Barbie Casa&Ufficio. Ha bei capelli che tiene sopra la spalla, i suoi vestiti hanno tutti un prezzo ragionevole e evita le cose che potrebbero farla sembrare distante, aliena. L’unica nota stonata di Victoria sono le sue sopracciglia fuori moda, molto sottili, un po’ anni Novanta, “la visione di un’epoca passata del New Labour di Tony Blair” secondo Tatler. Un’eco di quegli anni c’è anche nella marca che lei, come pure la vicepremier Angela Rayner, ha deciso di indossare. Si chiama ME+EM, nuovo brand della middle class rampante, propone uno “stile intelligente per donne intelligenti”, con cose tipo i vestiti con le tasche, e la fondatrice Claire Hornby è la moglie del direttore della campagna di Blair del 2001, Johnny. 

Dimentichiamoci però la foto di Cherie Blair che apre la porta di Islington in pigiama per ricevere dei fiori, con i capelli dritti come il personaggio di un cartone animato, invitando di fatto il paese nella loro domesticità da power couple vecchio stile. Forse Lady Starmer si vuole rifare più a Denis Thatcher, uno che diceva “sempre presente, mai lì”, pur sapendo di essere molto più attraente del marito della Iron Lady. Difficile immaginarla a raccontare in un salotto televisivo di quanto siano buoni i pancakes cucinati dal marito e di quanto sia un uomo dolce e protettivo. Basta ascoltare come lui parla di lei per capire che marito sia, uno che addirittura interrompe la campagna per la leadership del Labour quando la suocera cade dalle scale e si fa male. Basta guardarli al concerto di Taylor Swift per capirli, moderni, ottimisti, uniti, lui con gli occhiali da Clark Kent e sempre un po’ imbarazzato e con un gilet con le frange e gli occhi ridenti. Ma il dovere è dovere, e se c’è un vertice Nato, lei lo accompagna e sembra anche divertirsi, giocare con il suo ruolo. Arriva ai banchetti a Buckingham Palace in rosa con uno chignon da principessa o con vestiti di perline di vetro disneyani, ma con juicio. Vogue ha scritto che la sua assenza dalla campagna è stata “la morte della trophy wife politica” come la conosciamo, e sì che lei le ha tutte le carte da trophy. Solo che ormai il trofeo ha le sue esigenze, le dinamiche sono diverse, la modernità è anche questo. 

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