Venezuela Show
Guarda un po' chi crede al rispetto della volontà popolare in Venezuela
Dalle dure critiche del presidente cileno Boric, alle ambiguità del governo spagnolo. Le reazioni e le congratulazioni (dei soliti noti) alla vittoria “impossibile” di Maduro
Sono 247 i venezuelani che hanno votato al consolato di Milano, pari al 30 per cento degli iscritti. 233 voti sono andati a Edmundo González Urrutia, 12 a Maduro, 2 a Claudio Fermín. Un seggio all’estero con pochi votanti, sicuramente. Il fatto che solo a 69.000 venezuelani all’estero sia stato consentito di votare su 4 milioni che lo avevano richiesto e su 8 milioni che potevano richiederlo è un’ombra pesante sulla regolarità di queste elezioni. Il punto però è che l’opposizione dice di poter esibire almeno il 40 per cento degli atti, e che quasi tutti mostravano cifre simili, anche se non sempre fino a questi limiti. Per questo ora María Corina Machado giudica “impossibile” quel 51,2 per cento che il Consiglio nazionale elettorale ha attribuito a Maduro. Ma non è solo lei a usare termini simili. “Il regime di Maduro deve capire che è difficile credere nei risultati che pubblica”, ha detto il presidente cileno Gabriel Boric.
“La comunità internazionale e soprattutto il popolo venezuelano, compresi i milioni di venezuelani in esilio, esigono la totale trasparenza dei verbali e del processo, e che gli osservatori internazionali non impegnati presso il governo rendano conto della veridicità dei risultati. Dal Cile non riconosceremo alcun risultato che non sia verificabile”, ha aggiunto Boric. Una linea addirittura più dura di quella del segretario di stato americano Antony Blinken, che senza entrare in merito all’affidabilità del risultato dice che “è di vitale importanza che ogni voto venga conteggiato in modo equo e trasparente. Chiediamo alle autorità elettorali di pubblicare il conteggio dettagliato dei voti per garantire trasparenza e responsabilità”.
Essendo Gabriel Boric di sinistra radicale, il suo attacco è di fatto molto più duro che non quello del presidente argentino Javier Milei, che su X ha addirittura invocato un intervento dei militari: “Spero che le Forze armate questa volta difendano la democrazia e la volontà popolare. La libertà avanza in America latina, dittatore Maduro, fuori!!!”. Ma c’è anche un distacco netto rispetto al governo di sinistra spagnolo, che ha preso posizione solo dopo che la vice portavoce del Partito popolare al Congresso dei deputati, Cayetana Álvarez de Toledo, aveva fatto una interrogazione, mentre l’altro popolare José Manuel Albares chiedeva: “E il governo spagnolo? Non ha niente da dire? Non denuncerà la frode? Non difenderà la volontà democratica del popolo venezuelano?”. Sia a una delegazione del Partito popolare spagnolo sia a due senatori cileni di destra era stato impedito di entrare: come anche a parlamentari argentini, colombiani e ecuadoriani. Mentre però il governo di Boric aveva mandato una vibrata nota di protesta contro Maduro, il Psoe aveva qualificato tutta la storia uno “show”, arrivando a chiedere se i popolari avessero viaggiato con “denaro pubblico”.
Soltanto dopo queste sollecitazioni il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares ha messo in dubbio la vittoria di Maduro. “La volontà democratica del popolo venezuelano deve essere rispettata con la presentazione dei verbali di tutti i seggi elettorali per garantire risultati pienamente verificabili”, ha scritto su X. E’ peraltro un socialista spagnolo anche l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell: “Il popolo venezuelano ha votato sul futuro del proprio paese in modo pacifico e massiccio. La sua volontà deve essere rispettata. E’ fondamentale garantire la totale trasparenza del processo elettorale, compreso il conteggio dettagliato dei voti e l’accesso ai registri delle votazioni dei seggi elettorali”, ha scritto su X. Ma è un socialista spagnolo ed ex primo ministro anche quel José Luis Rodríguez Zapatero che una volta arrivato in Venezuela è rimasto zitto, mentre il gruppo di osservatori di cui faceva parte certificava la legittimità del risultato. Ed è un socialista spagnolo ed ex primo ministro anche quel Felipe González che ha invece definito i risultati “non credibili”, oltre a chiedere a sua volta una verifica dettagliata degli atti “uno per uno”. Ed è stata per tre anni ministro di Sánchez Irene Montero, leader di Podemos e moglie del fondatore Pablo Iglesias, secondo cui “il popolo venezuelano ha eletto Nicolas Maduro presidente. La comunità internazionale e gli osservatori internazionali devono garantire il rispetto dei risultati da parte di tutte le parti all’interno e all’esterno del paese. La destra deve capire che la democrazia va rispettata anche quando perde”.
Più in generale, con Maduro si sono congratulati i governi di Russia, Cina, Iran, Cuba, Bolivia, Nicaragua e Honduras. Duramente critici sono stati praticamente tutti gli altri governi latino americani eccetto Brasile e Messico, che sono rimasti in silenzio. Mentre però per Andrés Manuel López Obrador è la linea che ha sempre tenuto, Lula invece ultimamente con Maduro si era duramente scontrato. Quando Maduro aveva minacciato un “bagno di sangue” se non fosse stato rieletto e Lula si era detto “spaventato”, il presidente venezuelano gli aveva allora consigliato di “prendersi una camomilla”, e aveva attaccato il sistema elettorale brasiliano, da cui l’annullamento di una missione di osservazione. Adesso è dunque l’ex presidente argentino, Mauricio Macri, che gli chiede di pronunciarsi.
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