Il dopo sunak

I Tory britannici hanno l'estate per trovare una voce per il futuro. Sei candidati, una favorita

Cristina Marconi

Il partito conservatore britannico, sonoramente sconfitto alle ultime elezioni, prova a voltare pagina. In pole la 44enne Kemi Badenoch; a settembre i primi ballottaggi

Un’estate per trovare un’identità e una voce per il futuro. E per non rivivere lo stesso sbaglio, a condizione di aver capito quale sia stato. È questo quello che hanno davanti i Tory, o ciò che resta di loro, nel giorno in cui si sono chiuse le candidature per la futura leadership di un partito uscito massacrato dalle elezioni, con il consenso eroso dalla visione centrista del laburista Keir Starmer da una parte e dalla micidiale retorica di Nigel Farage e di Reform Uk dall’altra.

I candidati alla successione di Rishi Sunak sono appena sei, per la maggior parte non sono nomi famosi agli occhi del grande pubblico. La darling del partito negli ultimi anni, ossia Penny Mordaunt, quella con la spada all’incoronazione di Re Carlo, ha perso il seggio alle ultime elezioni, mentre Suella Braverman, che da anni si propone come il volto della destra radicale, si è tirata indietro con un articolo velenosissimo per il Telegraph in cui diceva che tutti amano ripetere la formuletta banale del bisogno di “unità”, invece di ascoltare la “diagnosi e la cura” che lei va ripetendo da tempo, finendo “etichettata come pazza, cattiva e pericolosa”. La sua proposta era di fondere i Tory con Reform, 4 milioni di elettori, 70 mila tesserati e una piattaforma estremista, ma evidentemente questa retorica è risultata più convincente in bocca a Robert Jenrick, che un tempo era così blando da essere soprannominato “Robert Generic” e che invece ha trovato la sua fortuna nella parlantina pepata sfoggiata gli ultimi tempi per conquistare, senza bisogno di opa, gli elettori di Farage. Come quando si è dimesso da ministro dell’Immigrazione in opposizione con la proposta di mandare i richiedenti asilo in Ruanda: non era abbastanza estrema, a suo avviso, perché non aggirava completamente tutte le leggi internazionali. Il rispetto di queste ultime era invece cruciale, per dire, agli occhi del governo di Kigali. 

Sul fronte dell’invito alla pace e all’unità nel partito si trova invece James Cleverly, ex militare, brexiter, ministro di lungo corso, madre del Sierra Leone, considerato un moderato, un “unificatore” capace, un po’ come Tom Tugendhat, anche lui proveniente dall’esercito, di gran famiglia, un po’ più giovane e remainer, abbastanza popolare con la base, che cerca di corteggiare con dichiarazioni forti sull’opportunità, se necessario, di lasciare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo al suo destino. Con il sessantunenne Mel Stride, fedelissimo di Sunak, remainer e in generale considerato uno affidabile – “abbiamo smarrito la nostra reputazione di competenza”, è il suo grido di battaglia – si chiude la terna dei centristi. Ed entra in scena una vecchia conoscenza come Priti Patel, ex ministro dell’Interno dalle parole di fuoco sull’immigrazione, scavalcata a destra da Suella Braverman e legata, forse per sempre, al fallimento nella stagione dei primi arrivi delle imbarcazioni sulle coste inglesi. E poi la favorita, la più innovativa da un certo punto di vista, ossia Kemi Badenoch, 44 anni, forte del sostegno del 26 per cento della base. La sua missione, dice, è rinnovare il partito, cosa che dicono pure gli altri, però lei è più convincente e la sua immagine non è logorata dalla partecipazione attiva ai teatrini politici della stagione di confusione. A suo avviso la gente ha fatto benissimo a votare Labour perché nell’ultimo decennio “abbiamo parlato come la destra e governato come la sinistra”, mentre lei è molto sicura su quello che andrebbe fatto: lottare contro l’eccesso di liberalismo, contro l’odiosa la politica identitaria e la “promozione del post modernismo”, per rinverdire il capitalismo e avviare un rinnovamento. 

Come piccola anticipazione dell’estate bellicosissima che aspetta i conservatori, Badenoch, di origine nigeriana, ha accusato i suoi rivali di “giochi sporchi” per aver inviato alla stampa una raccolta di suoi commenti fatti su un blog in cui diceva che Einstein e Isaac Newton erano “notoriamente maleducati”, a differenza dei gentilissimi Adolf Hitler e Idi Amin. Lei è quella che i bookmaker danno per vincente al momento, ma ha il difetto di non essere una da compromessi, e poi manca ancora molto tempo: a settembre ci sarà un ballottaggio per portare il numero di contendenti a 4, i quali potranno poi parlare sul palco della convention di fine settembre. In seguito, il partito parlamentare ridurrà il numero a due e il 2 novembre verrà fuori il nome del vincitore, eletto dai tesserati del partito. Per iniziare a capire cosa resta sulla battigia dopo dodici anni di maree, di Brexit, di intermezzi carnevaleschi, di spaccature insanabili.

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