Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni (foto LaPresse)

voci da Bruxelles

Le lettere di Meloni a von der Leyen per uscire dall'impasse europeo

Pietro Guastamacchia

La presidente del Consiglio, messa all'angolo, scrive alla presidente della Commissione. A Bruxelles, però, si pensa solo al puzzle del prossimo esecutivo (su cui l'Italia nasconde le carte)

Cara Ursula, ti scrivo. Con una lettera indirizzata a von der Leyen, Giorgia Meloni cerca di instaurare un filo diretto con la presidente della Commissione Ue per superare l'impasse sul suo posizionamento a Bruxelles. Tuttavia, dopo il voto contrario del governo italiano alla sua nomina, la presidente della Commissione Ue non ha ragione di concedere alla premier italiana niente più che le dovute formalità. La lettera spedita domenica sera da Meloni e indirizzata alla “cara Ursula” è percepita a Bruxelles come la volontà di costruire un canale diretto, al di sopra degli schiamazzi tra forze politiche sulla formazione della prossima Commissione europea. Trattative da cui la premier italiana è ormai quasi esclusa e in cui il suo partito europeo, Ecr, non è mai realmente entrato in partita.

   

“Meloni vuole parlare direttamente con von der Leyen perché la sua macchina politica a Bruxelles è inceppata, il suo gruppo politico, Ecr, è fuori dalla maggioranza, e i suoi uomini in Europa sono di importanza secondaria. Fino a quando non avrà un suo commissario, Meloni non ha altra scelta che condurre il dialogo di persona", commentano fonti del Partito Popolare Europeo al Foglio. Nella sua lettera a von der Leyen sulle raccomandazioni all’Italia in materia di stato di diritto, la premier infatti invece di attaccare la Commissione, se l’è presa con la stampa italiana, accusandola di aver diffuso “fake news” e di mistificare il contenuto della Relazione della Commissione sullo stato di diritto, un esercizio di monitoraggio che avviene ogni anno dal 2020. La lettera non è passata inosservata a Bruxelles. Per il liberale italo-francese Sandro Gozi, la missiva è “una lettera inutile e difensiva. E soprattutto incomprensibile. Se le regole sul servizio pubblico e l'informazione sono disequilibrate o ancor peggio discriminatorie, andrebbero cambiate. Se non lo sono, non si capiscono le ragioni della lettera. Meloni è in evidente e forte difficoltà in Europa”, spiega al Foglio.

   

La cosa curiosa, fanno notare a Bruxelles, è che la lettera non contiene nessuna critica all’operato di von der Leyen né alcun commento in generale al lavoro della Commissione. “Perché scrivere a von der Leyen, quindi?” si chiedono dal partito europeo della presidente della Commissione. Le parole della premier fanno presagire che Meloni si aspetti un aiuto da Bruxelles per dimostrare che Roma non è isolata e così arginare le critiche degli avversari, evitando che nei prossimi cinque anni il lavoro della Commissione Ue, in materia di stato di diritto e non solo, diventi benzina per il fuoco delle opposizioni. Von der Leyen però non può certo sbilanciarsi a commentare il lavoro della stampa italiana e da Bruxelles, infatti, stanno già grattandosi la testa su come rispondere alla missiva della premier o, addirittura, se rispondere del tutto. Mentre Meloni si agita contro stampa e opposizioni, a Bruxelles la nuova Commissione prende via via forma. Dodici Paesi hanno già ufficializzato i loro candidati al ruolo di commissario e alcuni portfolio sono già in dirittura di assegnazione, come l’agricoltura ai popolari portoghesi, un dossier green alla socialista spagnola Teresa Ribera e un probabile mix di industria e mercato interno al liberale francese Thierry Breton.

 

Sulla partita dei commissari, però, Roma non ha ancora scoperto le sue carte. Il nome di Raffaele Fitto rimane il più accreditato, ma dal governo per ora scelgono di non darne ancora l'ufficialità. Meloni vuole prima capire quale peso avrà l’Italia nella prossima Commissione Ue e anche su questo si aspetta un segnale da von der Leyen, che però si trova nella difficile situazione di garantire un “ministero" a un partito che non ha votato la fiducia al suo esecutivo. Dai partiti della cosiddetta maggioranza Ursula, intanto, arrivano pressioni affinché i posti di comando siano riservati a chi ha sostenuto l’esecutivo comunitario, relegando l’Italia a un posto secondario. Oltre a popolari, socialisti e liberali, da accontentare questa volta ci sono anche i verdi, entrati silenziosamente in maniera stabile nella nuova maggioranza a Bruxelles. E sono proprio i verdi i più intransigenti con la linea del governo italiano e, infatti, nella rissa ci finisce anche il viaggio in Cina di Meloni. La scelta di siglare accordi commerciali con Pechino viene infatti definita dall’ex eurodeputato verde tedesco Reinhard Bütikofer, per anni ideologo verde dei rapporti con la Cina, "uno dei buoni motivi per cui è stato intelligente da parte di von der Leyen non fare affidamento su Meloni e l'Ecr per costruire la sua nuova maggioranza al Parlamento europeo".