Cosa racconta di Israele lo scandalo sulle torture a Sde Teiman

Micol Flammini

Detenuti palestinesi abusati in un carcere nel Negev, un'indagine da parte di Tsahal, le proteste degli estremisti per proteggere i soldati arrestati e scagliarsi contro l'inchiesta

A maggio un soldato israeliano aveva mandato delle foto alla Cnn per mostrare come venivano trattati i detenuti a Sde Teiman, una base militare a Beit Lid, nel deserto del Negev, riconvertita a centro di detenzione dopo il 7 ottobre. Il soldato aveva detto che le immagini che vedeva durante la sua giornata, torture, pestaggi e umiliazioni, lo tormentavano. Dopo la Cnn, arrivò il New York Times e Tsahal, l’esercito israeliano, aveva continuato a sostenere la “condotta corretta” dei suoi soldati all’interno di Sde Teiman.

Nel frattempo però Tsahal aveva deciso di avviare un’indagine interna e lunedì ha annunciato l’arresto di otto soldati della base dopo il ricovero di un detenuto palestinese che riportava gravi segni di abusi. A Sde Teiman sono incarcerati circa cinquecento uomini accusati di terrorismo, per meno della metà si tratta di accuse senza prove, soltanto sospetti, altri invece sono membri di Hamas e del Jihad islamico. Tutti sono stati portati a Sde Teiman, che è molto vicino alla Striscia di Gaza, e la base si è trasformata in un centro di detenzione. 

Dopo l’annuncio degli arresti, alcuni soldati si sono barricati nel carcere, hanno rilasciato dei messaggi dicendo agli israeliani di ribellarsi e frotte di contestatori sono accorse nel Negev e hanno cercato di fare irruzione, tra loro c’erano anche alcuni politici di estrema destra, appartenenti alle fazioni del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. Le guardie hanno fatto fatica a resistere, hanno chiesto l’intervento della polizia, ma sul posto sono arrivati pochi agenti, meno rispetto ai rinforzi richiesti. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha chiesto al premier Benjamin Netanyahu di appurare che non sia stato Ben-Gvir a lesinare i rinforzi, il ministro estremista aveva detto che la polizia militare che arrestava “i nostri migliori soldati” era uno spettacolo vergognoso e il suo partito Otzma Yehudit, Potere ebraico, aveva annunciato che i suoi membri si sarebbero uniti alle proteste.

Davanti ai cancelli di Sde Teiman c’era un paese contro un altro, e Netanyahu è rimasto in mezzo: ha condannato le proteste ma non ha parlato dell’inchiesta. Tsahal ritiene che sia il momento di fare chiarezza su quello che accade nella base, che alcuni media hanno ribattezzato la Abu Ghraib israeliana facendo riferimento allo scandalo del 2003 sul carcere gestito dall’esercito americano in Iraq, l’estrema destra israeliana pensa invece che qualsiasi metodo sia giusto contro i terroristi e i soldati devono essere inattaccabili. L’inchiesta è partita anche per la pressione da parte della comunità internazionale, per dimostrare che Israele è pronto a investigare da solo sui crimini dei propri ufficiali: dimostrando di avere una giustizia efficiente, può evitare le corti internazionali. L’inchiesta di Tsahal su Sde Teiman rappresenta però anche due visioni del mondo, della guerra e del futuro del paese molto diverse, inconciliabili, pronte a scontrarsi anche con la violenza. Da una parte c’è Gallant, dall’altra Ben-Gvir, figure opposte bizzarramente strette nello stesso governo. Quello interno è l’ottavo fronte di Israele, che deve sopravvivere ai suoi pericolosi estremismi politici che sabotano la sua democrazia e la sua sicurezza mentre combatte contro Hamas, e le varie milizie finanziate dall’Iran nei paesi che circondano lo stato ebraico.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)