Italia-Cina: ricominciamo!
La prospettiva cinese della missione di Meloni nella Repubblica popolare: un’Italia meno atlantista e più underdog
Si riparte: in un punto stampa a Pechino, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che i risultati, durante la sua missione nella Repubblica popolare cinese che è terminata ieri a Shanghai, ci sono stati eccome. E tra questi, l’accordo quadro per intensificare la cooperazione industriale tra Italia e Cina, che riguarda non solo l’auto elettrica ma anche, per esempio, la cantieristica navale, e che sarà implementato con riunioni e tavoli di lavoro regolari: “Di solito a me non piace firmare documenti che poi restano lettera morta”. E quindi il piano d’azione come “una nuova fase”, secondo Meloni, che tocca non soltanto “il piano economico-commerciale” ma anche una “profondità di rapporti” culturali. Dichiarazioni prese molto sul serio a Pechino: “Quel che è certo, è che la prima visita di Meloni in Cina suggerisce un cambiamento della politica italiana con la Cina”, dice al Foglio Shen Shiwei, giornalista della statale Cgtn e analista di relazioni internazionali.
La presidente del Consiglio Meloni, spiega al Foglio Shen Shiwei, che è anche non-resident research fellow sul progetto della Via della seta alla Zhejiang Normal University, “si allontana da politiche guidate dall’ideologia verso un approccio più pragmatico e strategico alla cooperazione con la Cina, nonostante le pressioni degli Stati Uniti”.
La prospettiva cinese della missione di Meloni in Cina è un po’ diversa da quella degli alleati tradizionali italiani: secondo quanto risulta al Foglio, prima della partenza, e in particolare a Washington, durante le discussioni a porte chiuse al Summit della Nato, Meloni era stata chiara sui messaggi che avrebbe portato alla leadership cinese, più o meno gli stessi del presidente francese Emmanuel Macron durante il suo ultimo incontro con il leader Xi Jinping a maggio, a Parigi: per l’Europa è un problema sia la concorrenza sleale cinese sui mercati internazionali sia il sostegno cinese alla Russia di Putin. Ma alla fine del viaggio, sembra che Meloni abbia cercato anche un altro risultato, il cui senso è più o meno: mentre noi firmavamo la Via della seta gli altri in Europa (leggi: Francia e Germania) facevano affari con Pechino. Ma adesso che Parigi e Berlino iniziano ad alzare i muri del de-risking, la messa in sicurezza dei rapporti anche commerciali con Pechino, l’Italia vuole fare affari. L’analista spiega al Foglio che la leadership cinese adesso spera – o meglio, si aspetta – “che il dialogo e la cooperazione a diversi livelli di governo tra Cina e Italia tornino alla normalità, con scambi più frequenti che contribuiranno a migliorare la comprensione e a risolvere le controversie”.
Nella logica cinese, un’Italia, insomma, meno atlantista e più underdog. Anche sulla Via della seta, secondo Shen Shiwei “uscita” non è proprio una parola esatta, “perché la Via della seta non è un’organizzazione. Tutti sanno che la decisione dell’Italia di non rinnovare l’accordo nel 2023 è stata presa principalmente a causa delle pressioni degli Stati Uniti”, una notizia in realtà smentita più volte da Palazzo Chigi e anche da Meloni stessa, per cui quell’accordo non aveva dato i risultati sperati. “Da allora, i governi italiano e cinese e i rispettivi settori economici hanno continuato a spingere per una maggiore cooperazione strategica, non solo per migliorare la cooperazione nel commercio, negli investimenti, nella produzione industriale, nell’innovazione scientifica e tecnologica e nei mercati terzi, ma anche per esplorare la cooperazione in settori emergenti come i veicoli elettrici”. Ieri Meloni ha detto che la possibilità di aziende cinesi che investiranno in Italia nel settore sarà materia di discussioni future, niente ancora di concreto, ma Shen Shiwei conferma negoziati in corso tra “alcuni giganti cinesi di veicoli elettrici con aziende italiane”. Un riavvicinamento, quello con la Cina, che sarà di certo osservato con attenzione a Bruxelles e a Washington.