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L'analisi

L'export dei prodotti tecnologici cinesi è troppo importante per Pechino (e un problema per noi)

Giorgio Arfaras

Le decisioni divergenti dell'ultimo Plenum del Partito comunista cinese, il futuro bilanciamento tra crescita economica e commercio internazionale e il nostro protezionismo

A differenza dei Plenum passati, nei giorni scorsi il Partito comunista cinese non ha preso una decisione univoca durante l’importante riunione che si tiene ogni cinque anni sulle riforme economiche. Alla fine degli anni 70 la decisione fu quella di aprire l’economia alle tecnologie occidentali e alle esportazioni di queste ultime messe in produzione in Cina. Agli inizi di questo secolo la decisione fu quella di un’economia come intreccio di pubblico e di privato. Il colossale sviluppo cinese è stato fino a poco tempo fa trainato dagli investimenti in infrastrutture e dalle esportazioni. Il primo traino ha esaurito la propria propulsione, e questo pone il problema di come spingere di nuovo l’economia su un sentiero di crescita. Qui sta la prima difficoltà, e quindi l’indecisione del plenum dei giorni scorsi.
 

La nuova spinta alla crescita dipende dalla scelta se lanciare o meno i consumi a scapito degli investimenti. I primi sono una quota molto modesta dell’economia, ma il loro lancio richiede che la popolazione si senta al sicuro e quindi che rinunci a risparmiare troppo in vista degli eventi avversi. Ciò che avverrebbe con delle forme di stato sociale, un qualcosa non facile da mettere in opera in una autocrazia, perché, facendo così, si ridurrebbe il controllo del potere sulla popolazione.
 

Il secondo traino deve affrontare i problemi che si hanno quando i paesi in via di sviluppo vogliono esportare dei beni che non sono quelli tradizionali e che sono di produzione propria, come le auto elettriche, le telecomunicazioni di ultima generazione, e altro ancora. La decisione cinese di sussidiare questi settori porta a uno scontro che resuscita le barriere doganali con i paesi importatori, ma allo stesso tempo, i sussidi sono una modalità di finanziamento dello sviluppo dei nuovi settori. La non decisione del Plenum sta nel non avere scelto che cosa scegliere fra il commercio internazionale senza intoppi e lo sviluppo dei nuovi settori.
 

Le esportazioni dei paesi in via di sviluppo, e in particolare della Cina, se composte da beni prodotti con le tecnologie occidentali, come i telefonini disegnati nella casa madre occidentale e prodotti in loco, o se di beni a bassa tecnologia di origine locale, non hanno mai avuto un impatto tale da alimentare un’alzata di scudi. Invece, l’esportazione da parte dei paesi in via di sviluppo di tecnologia elevata, se frutto della propria produzione, mette in difficoltà i paesi sviluppati che sono gli importatori e che vogliono crescere nei nuovi settori. Lo sviluppo nei nuovi settori può avvenire solo facendo degli investimenti colossali che le esportazioni cinesi rischiano di bruciare.
 

I paesi sviluppati più che bloccare le importazioni, come reazione, preferiscono mettere delle tariffe doganali molto elevate, tariffe che dovrebbero annullare il vantaggio competitivo delle esportazioni cinesi. Si hanno due casi: il primo è che le esportazioni cinesi di elevato livello tecnologico hanno dei prezzi che riflettono il loro costo industriale, quindi questi beni riflettono un vero vantaggio competitivo. Oppure hanno dei prezzi inferiori ai loro costi, e sono dei beni che diventano competitivi perché sono sussidiati dallo stato. Nel primo caso, sono i paesi importatori a essere mal messi, dunque è normale che reagiscano chiedendo protezione, nel secondo caso, non sono mal messi, ma vogliono frenare la concorrenza che è diventata pericolosa perché sussidiata.
 

Abbiamo così un futuro di protezione tariffaria sia se le produzioni cinesi non sono sussidiate, sia se lo sono (e lo sono). Avremo così una richiesta costante di due tipi di protezione che si combinano. Una prima che possiamo etichettare come volta a proteggere il benessere del paese (national wealth) dalle importazioni cinesi. Una seconda che possiamo etichettare come volta proteggere la sicurezza nazionale (national security), perché non si intravede ancora un sistema mondiale in cui i paesi siano volti solo allo scambio pacifico. Altrimenti detto, non si intravede ancora “la fine della storia”.

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