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L'analisi

Perché non convince l'accordo tra l'Italia e la Cina sull'intelligenza artificiale. I pericoli in un report

Stefano Cingolani

Il piano triennale firmato in occasione del viaggio di Meloni a Pechino solleva perplessità su una delle sei linee d'azione: la tecnologia. In particolare, le regole giuridiche cinesi in merito all'utilizzo dell'IA prevedono un doppio standard di non si è parlato abbastanza e che ha a che fare con i "valori socialisti"

Un piano triennale con sei linee di azione: scambi mercantili, investimenti, finanza, innovazione, tecnologia, scienza, medicina, cultura. Non è più la Via della seta, forse è la via di Marco Polo sul quale Giorgia Meloni ha inaugurato una mostra a Pechino. È una nuova fase di cooperazione italo-cinese che va presa sul serio per le sue implicazioni. Lasciamo stare l’auto elettrica anche se è curioso che si faccia gran fracasso contro quelle di Stellantis e si apra a un produttore cinese non tra i minori come Byd. I maggiori interrogativi sorgono sull’intelligenza artificiale. In questo immenso campo la Cina ha puntato sui sensori ottici e sulle radiofrequenze che vuol dire 4G e so prattutto 5G. La tecnologia cinese fa la parte del leone in Italia (41 per cento nel 4G e 51 nel 5G) la quota più alta tra i grandi paesi europei dopo la Germania (57 e 59 per cento), mentre la Gran Bretagna è al 41 per cento e la Francia molto più lontana (rispettivamente 26 e 17 per cento).
 

Il ruolo più importante spetta a Huawei che l’Unione europea ha messo nel mirino invitando caldamente i singoli paesi a staccarsi dal suo abbraccio. Tutti, Italia compresa, hanno fatto orecchie da mercante. Intanto Pechino ha rafforzato Huawei sul mercato interno per spiazzare e ridimensionare il ruolo di Apple. Mentre in Europa ha accelerato la conversione sull’intelligenza artificiale. Dunque, sarà Huawei il partner industriale con il quale l’Italia lavorerà nell’ambito del piano triennale? E cosa succede a Bruxelles?
 

La Ue ha varato un regolamento che consiste nel disciplinare l’immissione sul mercato europeo dei sistemi di intelligenza artificiale. L’Assonime ha appena pubblicato una circolare che ne spiega il carattere e le linee operative. In Italia, il mercato dell’IA ha registrato un incremento del 52 per cento tra il 2022 e il 2023, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro. Qui “si gioca la grande sfida della competizione tecnologica globale”, sottolinea l’Associazione delle società quotate in Borsa. Tra le iniziative di cooperazione multilaterale, “assume particolare rilievo la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sull’intelligenza artificiale, i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto, che rappresenta il primo trattato internazionale sull’IA ed esplica efficacia vincolante per le parti aderenti”. L’Assonime ricorda che “sono vietati i sistemi di IA che comportano un rischio inaccettabile per la salute, la sicurezza, i diritti fondamentali; sono soggetti a un insieme molto articolato di requisiti e prescrizioni quelli caratterizzati da ‘alto rischio’; sono sottoposti a misure di trasparenza quelli con rischi specifici di ingannevolezza. L’applicazione delle regole spetta a un apparato di autorità a due livelli, nazionale ed europeo, così richiedendo uno sforzo di coordinamento e di dialogo costruttivo con e tra le istituzioni, e sono previste rilevanti sanzioni pecuniarie per le violazioni, nonché misure restrittive, fino al ritiro dal mercato del sistema di IA”.
 

Il governo italiano a sua volta ha varato un documento di 40 pagine sulle linee guida di qui al 2026 e l’Assonime vi fa riferimento invitando a collaborare per la messa a terra delle cinque strategie (la ricerca, la pubblica amministrazione, le imprese, la formazione, il monitoraggio). La Cina, che di piani e documenti strategici se ne intende, ha elaborato nell’agosto dello scorso anno le sue regole giuridiche, tecniche e politiche, consentendo un controllo diretto sull’intera filiera dell’IA. Pechino ha rivolto la propria attenzione principalmente all’impatto su disinformazione, condizionamento dell’opinione pubblica, discriminazione, sicurezza, protezione dei dati personali e della proprietà industriale, tutto ciò è in linea con il dibattito occidentale. Con un doppio standard. Quando le imprese vanno all’estero possono operare tenendo conto delle specificità locali. In patria debbono, in base all’articolo 4, aderire ai valori socialisti, evitare qualsiasi possibilità di utilizzo per sovvertire o incitare alla sovversione dell’ordine costituito, evitare l’alterazione del mercato, rispettare i diritti delle persone e non mettere in pericolo la salute fisica e mentale. Particolare attenzione viene attribuita all’uso dei dati necessari a istruire l’IA generativa. Questi obblighi riguardano anche i provider che non sono localizzati in Cina. Di fatto si crea una lista nera delle fonti non utilizzabili a cominciare da quelle contrarie al socialismo. Se ne è parlato nel “piano di azione” sottoscritto a Pechino?

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