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In medio oriente

Così la caccia ai nemici di Israele "può arrivare ovunque"

Al Foglio parla lo stratega israeliano Kobi Michael, che dopo l'attacco che ha ucciso Ismail Haniyeh spiega: "Le eliminazioni mirate sono parte della guerra. Haniyeh era il capo dell’organizzazione che combattiamo da dieci mesi"

Un missile sparato da Teheran a Teheran, forse due. Gli iraniani non riescono a capire come possa essere successo. Perché l’omicidio mirato di Ismail Haniyeh, già leader di Hamas, non solo li priva di un alleato fedele ma mette in mostra, ancora una volta, le debolezze dell’apparato di sicurezza della Repubblica islamica. Il che tutto sommato è anche fisiologico: quando per decenni ti impegni con tutte le forze a schiacciare il dissenso all’interno del paese e poi, non contento, impieghi ogni energia residua per formare, armare, sostenere una serie di gruppi stranieri che dall’Iraq allo Yemen portino avanti la tua agenda del terrore, è giocoforza perdersi qualche pezzo nel processo. Ed è proprio in queste crepe che si inseriscono i servizi israeliani. E tanto è più pesante la cappa del regime e dei suoi apparati di polizia – da quella brutale della “polizia morale” a quella finanziaria delle Guardie rivoluzionarie – tanto più clamorose saranno le azioni degli emissari di Israele, anzi “dell’entità sionista”,  visto che per il regime degli ayatollah Israele non esiste proprio.
 

Martedì sera, invece, i “sionisti” hanno dimostrato di esistere eccome, eliminando con un omicidio mirato un ospite di riguardo invitato per festeggiare il neo presidente Masoud Pezeshkian; un ospite che fino a poco prima della sua eliminazione si intratteneva con Ali Khamenei, la Guida suprema dell’Iran. Lo ricorda al Foglio lo stratega israeliano Kobi Michael dell’Institute for National Security Studies (Inss) dell’Università di Tel Aviv: “Una volta gli abbiamo sfilato i piani per lo sviluppo del nucleare da sotto il naso. Israele può arrivare dovunque a Teheran”. Tra il 2015 e il 2020 a perdere la vita in omicidi mirati sono stati cinque tra fisici e ingegneri nucleari iraniani, figure chiave nel cammino degli ayatollah verso l’atomica: una media di un omicidio all’anno. Questa volta però è diverso perché l’eliminazione mirata di Haniyeh, e poche ore prima del comandante di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut, avviene in un periodo di guerra, apertissima tra Israele e Hamas, non dichiarata tra lo stato ebraico e Hezbollah. Sono quasi dieci mesi che la milizia sciita libanese spara sul nord d’Israele. A dispetto delle pressioni di chi vorrebbe tornare a casa o nel suo kibbutz in Galilea, Gerusalemme non risponde con la guerra alla guerra ma con gli omicidi mirati. “Ma le eliminazioni mirate sono parte della guerra”, osserva Michael. “Haniyeh era il capo dell’organizzazione che combattiamo da dieci mesi e Shukr era il braccio destro del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nonché il responsabile dei legami fra Iran e Hezbollah, organizzazione con la quale siamo in guerra”. L’omicidio mirato non serve dunque a evitare la guerra. Anzi, oggi,  dice Kobi Michael, Israele è consapevole che la reazione da parte dell’Iran o di Hezbollah, o di entrambi, porta la regione un passo più vicino a un conflitto aperto.
 

La scelta di eliminare Shukr “è stata saggia” perché assicura il sostegno degli Stati Uniti allo stato ebraico. Il suo omicidio mirato sarebbe parte di quella dottrina illustrata da Netanyahu pochi giorni fa al Congresso: “La nostra lotta è la vostra”, da cui se ne ricava che Israele combatte per gli Stati Uniti – ed è vero in questo caso che le mani di Shukr erano sporche del sangue di 241 marine fatti saltare in aria a Beirut nel 1983. Poche ore dopo la morte di Haniyeh e Shukr il segretario americano allla Difesa Lloyd Austin diceva dalle Filippine: “Se Israele viene attaccato, lo aiuteremo a difendersi. Siamo stati chiari su questo sin dall’inizio. Ma, ancora una volta, non vogliamo che accada”. Gli Stati Uniti hanno insomma apprezzato l’eliminazione del braccio destro di Hezbollah e per Kobi Michael “è impossibile che non fossero coinvolti”, quantomeno informati. “Gli americani lo sanno che gli israeliani danno la caccia in capo al mondo ai propri nemici, e quando Israele spiega che non vuole che Hamas si riorganizzi intende questo”. Se i servizi dello stato ebraico possono eliminare un ospite di Khamenei è lecito pensare che possano uccidere anche la Guida suprema, come pure   Nasrallah. “Israele”, puntualizza lo stratega, “è tra i pochi paesi che possono arrivare a chiunque: ma Khamenei è un capo di stato e Israele non punta ai capi di stato: piuttosto punta ai terroristi, ai capi militari e agli esperti che li sostengono”. Non è poi detto che eliminare il numero uno – leggi Nasrallah – sia sempre la scelta giusta. “Queste azioni comportano un rischio di guerra o di escalation, “che potrebbe non corrispondere al nostro interesse”. E comunque, quando si opera ad alto livello, bisogna sempre informare gli Stati Uniti.

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