Il nemico da combattere resta uno: il terrorismo iraniano
L’Iran è indirettamente – e direttamente dal bombardamento dello scorso aprile – in guerra contro Israele. Per Netanyahu è questione di tempo, lo sarà anche per gli Stati Uniti e l’occidente
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, al Congresso americano, ha pronunciato parole irremovibili sulla guerra a Gaza e le tensioni in medio oriente. Israele, con il sostegno statunitense, deve vincere. Perché da una parte vi sono il terrorismo e la barbarie, dall’altra democrazia e civiltà. Un discorso dal primo istante sì politico ma anche dal grande impatto emotivo, i cui toni hanno raccolto gli applausi dei repubblicani e dei democratici. Cruciale il ricordo di cosa è stato il 7 ottobre per Israele – in proporzione alla popolazione come venti 11 settembre in un giorno – e il punto sugli ostaggi, sui 135 riportati a casa e su coloro che ancora sono nelle mani di Hamas. Certo gli Stati Uniti – con quei 52 diplomatici tenuti ostaggio proprio in Iran, nel 1979, per 444 giorni – non possono, per lo meno a livello empatico, non essersi sentiti coinvolti in quello che da nove mesi Israele vive. Netanyahu ha poi ringraziato sia il presidente uscente Joe Biden, per l’instancabile sostegno politico e militare allo stato ebraico nella lotta contro “il male assoluto” di Hamas (e così facendo ha lasciato una porta aperta ai democratici, a molti dei quali sa bene di essere inviso), sia i repubblicani guidati da Donald Trump, fautore degli storici Accordi di Abramo e del riconoscimento di Gerusalemme capitale.
È passata nemmeno una settimana da quel discorso destinato a entrare nella storia, eppure la quotidiana drammaticità descritta dalle parole di Netanyahu non accenna a placarsi. Israele è attaccato da più fronti. Non solo Gaza ma anche Iraq, Yemen, Siria e, infine, per l’appunto, Libano. E’ di soli cinque giorni fa l’attacco di Hezbollah su un campo da calcio a nord di Israele che ha ucciso 12 persone e ferito diverse decine, la maggior parte bambini e adolescenti. La risposta israeliana è stata netta, il raid mirato su Beirut ha eliminato il numero due di Hezbollah. Tale organizzazione terroristica, così come Hamas o gli houthi, altro non è che uno dei tanti volti del regime dei mullah. Il nemico da combattere è e resta uno soltanto: il terrorismo iraniano. Non è certo un caso che il leader di Hamas Ismail Haniyeh sia stato ucciso a Teheran. L’Iran è indirettamente – e direttamente dal bombardamento dello scorso aprile – in guerra contro Israele. Per Netanyahu è questione di tempo, lo sarà anche per gli Stati Uniti e l’occidente. Il rischio di un allargamento del conflitto non è ahimè irrealistico, soprattutto se poi si leggono dichiarazioni ambigue da parte degli attori regionali e non solo.
Il terrorismo iraniano cerca consensi anche in occidente, in ogni modo possibile. Basti pensare agli “utili idioti” – i manifestanti pro “Palestina dal fiume al mare” che fomentano l’odio contro Israele e bruciano la bandiera a stelle e strisce. Netanyahu al Congresso ha parlato di prove che tali proteste siano finanziate e promosse dall’Iran stesso. Non stupirebbe visto la pesante disinformazione che regna nelle piazze e nelle università, a partire dai dati forniti dal ministero della Salute di Hamas sui morti civili. La strage umanitaria è evidente e drammatica, deve cessare, ma non possiamo dimenticare come sia proprio Hamas a dichiarare apertamente che il sangue dei palestinesi è necessario e a sequestrare aiuti umanitari.
Ieri, oggi, domani, l’occidente non può non dirsi dalla parte di Israele in questa guerra. Vi dev’essere la consapevolezza che il terrorismo di Hamas – componente fondamentale della strategia di revisionismo antioccidentale dell’Iran – è mosso da un odio, insito nel fondamentalismo islamico, che include tutto ciò che è parte del mondo libero che Israele rappresenta, quindi anche noi. Quello che è accaduto il 7 ottobre è stato un attacco genocidario, volto alla distruzione, all’annientamento di ogni singolo civile perché ebreo, perché israeliano, perché cittadino di una democrazia libera.
Attenzione, infine, a non cadere in narrazioni semplicistiche, come quella emersa a Pechino per cui le fazioni principali dei palestinesi – Hamas, Fatah e altre 12 – avrebbero raggiunto, sotto il faro della diplomazia cinese, un accordo per governare insieme Gaza. Non è senza disturbare l’elefante nella stanza – l’Iran – e senza il consenso di Israele, che si risolve la questione palestinese. La via sia la risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: tre fasi che portino a un cessate il fuoco immediato, al rilascio di tutti gli ostaggi e alla distribuzione di aiuti umanitari su larga scala nella Striscia di Gaza. Il Presidente Meloni ha ribadito anche al recente incontro con il Presidente Herzog la vicinanza a Israele, la piena condanna al terrorismo di Hamas, l’impegno alla de-escalation regionale. Per due popoli che possano vivere fianco a fianco in pace e sicurezza. La risposta occidentale non lasci spazio a altre distorte interpretazioni in medio oriente.
L'editoriale dell'elefantino