Lo scambio di prigionieri con la Russia è il lavoro di mesi, e sembra un romanzo

Giulia Pompili

Un gigantesco successo diplomatico di Biden. Il ringraziamento agli alleati che hanno aiutato e il messaggio a Trump

Tutto quello che è successo prima del più grande scambio di prigionieri dai tempi della Guerra Fredda fra Russia e occidente è un lunghissimo percorso di negoziati fra Washington, Mosca, e altri cinque paesi. Ed è  pure la moltitudine di incontri e personaggi – a volte  insospettabili – a dare il senso di un’operazione,  che è prima di tutto umana, ma anche soprattutto politica. Ieri il presidente americano Joe Biden, dopo aver pubblicato un breve comunicato, è andato davanti alle telecamere con le famiglie di alcuni ormai ex prigionieri  in Russia. (Pompili segue nell’inserto III)

 

 

Per il presidente americano è uno straordinario successo politico, quello che i giornali statunitensi ieri descrivevano come la “sua eredità” alla Casa Bianca. E le argomentazioni per ritenerlo davvero un suo personale successo politico sono dentro a una lunghissima inchiesta pubblicata ieri dal Wall Street Journal, il quotidiano dove lavora Evan Gershkovich, il giornalista arrestato/rapito nel marzo del 2023 e il 19 luglio scorso condannato a 16 anni di prigione per spionaggio. L’articolo è firmato da Joe Parkinson, Drew Hinshaw, Bojan Pancevski e Aruna Viswanatha, ed è la lunga e dettagliatissima storia portata avanti per più di un anno dai colleghi di Gershkovich in totale segretezza. 

 


Circondato dalle famiglie di Paul Whelan, Evan Gershkovich e Alsu Kurmasheva, tutti e tre cittadini americani, e di Vladimir Kara-Murza, che ha la doppia cittadinanza russa e britannica e la green card americana, Biden ha detto, e l’ha ripetuto più volte, che niente sarebbe stato possibile senza “l’amicizia”, senza il lavoro e il coinvolgimento degli alleati dell’America – Germania, Polonia, Slovenia, Norvegia e Turchia: “Tutti si sono fatti avanti e sono stati al nostro fianco prendendo decisioni coraggiose e audaci”, in una critica neanche troppo velata all’isolazionismo del candidato repubblicano ed ex presidente Donald Trump. “Per tutti quelli che se lo domandando: gli alleati contano. Le nostre alleanze rendono il nostro popolo più sicuro, e oggi abbiamo cominciato a vederlo di nuovo”. Non solo: Biden ha sottolineato come tra i sedici liberati dalla Russia ci siano non soltanto cittadini americani, ma anche prigionieri politici russi (secondo Meduza, nel gruppo inizialmente avrebbe dovuto esserci anche Alexei Navalny). “Gli Stati Uniti hanno contribuito al loro rilascio. Noi siamo per la libertà, per la giustizia, non solo per il nostro popolo, ma anche per gli altri. Ed è per questo che tutti gli americani possono essere orgogliosi di ciò che abbiamo ottenuto oggi”. 

 


L’ultimo scambio di prigionieri fra Washington e Mosca c’era stato due anni fa, quando l’America  liberò il ricercatissimo trafficante d’armi Viktor Bout in cambio del rilascio da parte della Russia di Brittney Griner, star americana del basket arrestata nel 2022. E c’entra anche quella storia, nel risultato dell’Amministrazione Biden di ieri: secondo la ricostruzione del Wsj, per anni Putin ha tentato di aprire un canale di dialogo con l’America per riportare in Russia Bout. L’ex presidente americano Donald Trump non prese mai la questione sul serio. Lo fecero invece il presidente Biden e il segretario di stato Antony Blinken, il 16 giugno del 2021, durante l’incontro in Svizzera con il presidente della Federazione russa Vladimir Putin e il suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov. “Putin lo ha incontrato davanti al caminetto di una villa sul lago di Ginevra”, scrive il Wall Street Journal, “e gli ha proposto di creare un canale tra i servizi segreti delle due parti per esplorare il sistema dello scambio dei prigionieri, un ritorno ai metodi della Guerra fredda e un modo per aggirare i diplomatici del dipartimento di stato che i russi trovavano pretenziosi”. Biden, che ha rivendicato più volte di avere avuto sempre come principale obiettivo della sua presidenza la liberazione dei detenuti politici americani, aveva dato il via libera. “Anche dopo l’invasione dell’Ucraina, le trattative erano continuate”, e Putin era riuscito a scambiare l’ex marine Trevor Reed con il pilota russo Konstantin Yaroshenko (nell’aprile del 2022) e Griner per Bout (dicembre 2022). “Putin aveva dimostrato che catturando gli americani si liberavano i russi”, scrive il Wsj. “E c’era un altro prigioniero che Putin voleva, un 58enne che stava scontando una condanna all’ergastolo in Germania”. Vadim Krasikov. Ed è quando la pressione di Mosca per avere Krasikov trova le resistenze della Germania, che Putin decide di arrivare a Gershkovich. Ma in pochi avrebbero potuto immaginare quale mobilitazione avrebbero  portato l’arresto e poi la condanna del giornalista. 

 


L’articolo del Wall Street Journal ricostruisce il ruolo fondamentale avuto dalla madre di  Gershkovich, Ella, e la sua forza e la sua tenacia capaci di mobilitare un network di persone sempre più importanti, fino ad arrivare direttamente al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, cioè l’uomo che avrebbe dovuto prendere la decisione di liberare Krasikov e affrontare tutte le conseguenze, anche dal punto di vista dell’opinione pubblica. Fino a febbraio, quando in una telefonata fra il cancelliere tedesco e il presidente americano Biden, Scholz dice: “For you, I will do this”, per te lo faccio.
“Accordi come questi arrivano a un costo difficile”, ha detto ieri Biden, annunciando la liberazione dei prigionieri dalla Russia la cui finalizzazione concreta è arrivata soltanto un’ora prima di annunciare al mondo il suo ritiro dalla corsa per la rielezione, il 21 luglio scorso. Il costo è quello di otto russi rilasciati da America, Germania, Slovenia, Polonia e Norvegia.  

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.