fuori dalle prigioni

Quanto vale un prigioniero politico per Putin, chi c'è nella lista e chi no. C'era anche Navalny, all'inizio

Giovanni Boggero

Le condizioni per chi torna in occidente, le priorità del presidente russo e chi resta in galera. Chi sono i liberati nel più grande scambio dai tempi della Guerra fredda

Mosca. Il più grande scambio di prigionieri dai tempi della Guerra fredda ha avuto luogo ieri, all’aeroporto di Ankara. Nelle ore  precedenti si erano moltiplicate le segnalazioni, poi confermate dall’agenzia Ria Novosti, di aerei della presidenza russa e di velivoli da trasporto militare americani in volo dalla Germania e da Mosca verso la capitale turca, dove lo scambio dei detenuti è avvenuto per effetto della mediazione anche del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. L’altro ieri sera il Moscow Times ipotizzava che fossero pronti a essere scarcerati tra i venti  e i trenta detenuti. 

 

Il numero definitivo, alla fine, è di 26 prigionieri, 16 dei quali reclusi in Russia e Bielorussia e 10 tra Europa e Stati Uniti. La lista completa l’ha  messa a disposizione la testata The Insider: vengono liberati dalle carceri russe (e bielorusse) Ilya Yashin, Vladimir Kara-Murza, Alsu Kurmasheva, Andrei Pivovarov, Oleg Orlov, Alexandra Skochilenko, Liliya Chanysheva, Ksenia Fadeyeva, Evan Gershkovich, Rico Krieger, Kevin Lik, Demuri (Dieter) Voronin, Vadim Ostanin, Patrick Schöbel, Paul Whelan e Herman Moizhes. Solo quattro torneranno negli Stati Uniti, gli altri sono destinati a ingrossare le file dell’opposizione russa in esilio in Germania, dove i prigionieri sono stati accolti dal cancelliere tedesco, Olaf Scholz. In Russia sono tornati spie e  funzionari variamente legati all’Fsb tra cui Vadim Krasikov, Artem Dultsev, Anna Dultseva e i loro due figli, Mikhail Mikushin, Pavel Rubtsov, Roman Seleznev, Vladislav Klyushin, Vadim Konoshchenok. 

 

Fino all’ultimo, Casa Bianca e Cremlino si erano rifiutati di commentare le indiscrezioni, iniziate a trapelare sui canali telegram tra il 29 e il 31 luglio non appena alcuni detenuti nelle carceri russe, condannati per reati che vanno dallo spionaggio all’alto tradimento al vilipendio delle Forze armate, sono improvvisamente scomparsi dai rispettivi luoghi di reclusione. Quella di trasferire un detenuto da un luogo di custodia all’altro senza informare avvocati e parenti anche per diversi giorni è una tetra pratica molto diffusa in Russia, ma il profilo dei detenuti in questione ha  fatto pensare che dietro vi fosse dell’altro. 

 


Da mesi si rincorrono voci su un possibile scambio tra Russia e paesi occidentali, non limitato agli Stati Uniti. Prima della sua morte in circostanze ancora non chiarite, Alexei Navalny pareva prossimo a essere scambiato con Vadim Krasikov, un colonnello di 58 anni dell’Fsb condannato in Germania per aver freddato a Berlino, di giorno e in un parco,  il georgiano Zelimkhan Khangoshvili che aveva combattuto per la causa cecena. Krasikov era fortemente voluto in patria da Putin, ma la trattativa pareva essersi definitivamente arenata per il rifiuto tedesco di scambiare Krasikov con qualsiasi altro detenuto nelle carceri russe. Il quadro è improvvisamente cambiato l’altro giorno, dopo che il 30 luglio il presidente bielorusso, Aljaksandr Lukashenka, ha graziato Rico Krieger, il trentenne paramedico tedesco condannato a morte qualche giorno prima. Dalle colonie penali russe in cui erano recluse sono diventate irrintracciabili e poi liberate le ex coordinatrici di Ufa e Tomsk della Fbk, la fondazione anticorruzione di Navalny, cui si è aggiunto anche Vadim Ostanin, responsabile della fondazione a Barnaul, tutti condannati a nove anni per aver partecipato a quella che è stata bollata dalle autorità russe come un’organizzazione estremista. Su un piano diverso, la stessa sorte è toccata anche a Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal appena condannato a 16 anni per spionaggio, a Paul Whelan, recluso nel carcere di Lefortovo dal 2018 e condannato per lo stesso reato nel 2020 e alla giornalista tatara di Radio Free Europe con passaporto russo-americano, Alsu Kurmasheva, condannata in via definitiva a 6 anni e mezzo di colonia penale lo scorso mese. Infine, se si fa eccezione per i due cittadini con doppio passaporto russo-tedesco, il diciannovenne Kevin Lik e il politologo Dieter Voronin, per l’avvocato Herman Moizhes, che aiutava i cittadini russi a ottenere un permesso di soggiorno in Europa e, infine, per Patrick Schöbel, cittadino tedesco arrestato all’aeroporto di Pietroburgo per possesso di caramelle gommose alla cannabis, hanno un rilievo più di politica interna le liberazioni dell’artista Alexandra Skochilenko, dell’attivista ed ex politico dell’ormai liquidato Parnas, partito che fu di Boris Nemtsov, Andrei Pivovarov, il cofondatore di Memorial, l’associazione per i diritti umani ormai fuori legge in Russia, Oleg Orlov e due politici di opposizione come Ilya Yashin e Vladimir Kara-Murza, in precedenza etichettati come “agenti stranieri” e poi colpiti dal regime – l’ultimo addirittura con una condanna a 25 anni –  per avere espresso contrarietà all’invasione russa dell’Ucraina. Per sedici prigionieri politici che vengono liberati – molti dei quali in precarie condizioni di salute – ve ne sono, però, ancora molti altri che in Russia devono finire di scontare la propria pena o che quotidianamente vengono condannati perlopiù per reati di opinione. 

 

Alcuni canali Telegram, già nella tarda serata di mercoledì, avevano messo in luce come nella Gazzetta Ufficiale della Federazione russa pubblicata il 30 luglio scorso il contenuto integrale di ben sette decreti presidenziali (dal 636 al 642) fosse stato secretato. Il numero di decreti non equivale necessariamente al numero di graziati, considerato che anche in passato, come ad esempio nel marzo scorso, il Presidente Putin aveva emanato sei decreti per graziare 52 persone. La liberazione dei prigionieri presuppone, infatti, la grazia presidenziale, che generalmente viene concessa quando il condannato si riconosce colpevole. Nel caso di specie, la trattativa è stata particolarmente difficile, rivela VChK-OGPU, un canale Telegram con aderenze nelle agenzie di sicurezza, il primo a essere stato dichiarato “agente straniero” dal Ministero della Giustizia russo. Diversi dissidenti non erano, infatti, disposti a riconoscersi colpevoli, tra loro anche Kara-Murza e Yashin, per i quali la liberazione è, infine, stata condizionata all'esilio all'estero, come fu in passato per Mikhail Khodorkovsky. Yashin, in una lettera dal carcere risalente a giugno, si era, tuttavia, detto contrario a scambi che lo portassero lontano dalle madrepatria. 

 

Per sedici prigionieri politici che vengono liberati - molti dei quali in precarie condizioni di salute - ve ne sono, però, ancora molti altri che in Russia devono finire di scontare la propria pena o che quotidianamente vengono condannati per reati di opinioni. Tra loro vanno ricordati Maria Ponomarenko, giornalista del portale RusNews, Alexei Gorinov, ex deputato nel municipio di Mosca presieduto da Yashin, il sociologo Boris Kagarlitsky, la regista Zhenya Berkovich e la drammaturga Svetlana Petriychuk, condannate per “giustificazione del terrorismo” per una pièce teatrale o, infine, Grigory Melkonyants, a capo di Golos, la principale organizzazione indipendente di monitoraggio elettorale, dichiarata indesiderata in Russia. Lo scambio del 1° agosto resta, comunque, di proporzioni storiche - non da ultimo per il numero di Paesi coinvolti - e segnala che i canali di comunicazione tra Russia e Occidente non sono mai venuti meno negli ultimi due anni e mezzo. Il prossimo passo diplomatico, certo non automatico, ma oggi forse più probabile, potrebbe riguardare direttamente il conflitto in Ucraina.

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