Giovedì - Caracas sfila commemora il primo anniversario della morte di Chavez

Qui venezuela

L'eredità del chavismo è una lezione contro le scorciatoie populiste

Guglielmo Barone

Analisi dello stato del Venezuela alla vigilia di un nuovo, contestato mandato per Maduro. Con uno sguardo a studi e dati che fanno da monito per l'Italia

La contestata vittoria elettorale di Nicolás Maduro ha aperto una discussione sui presunti meriti del presidente uscente nella gestione dell’economia venezuelana, discussione rapidamente allargatasi ai pro e contro del socialismo (variamente declinato) per l’economia e il benessere dei cittadini. Sembra di essere in pieno novecento, ma tant’è. Col sostegno dell’ideologia è relativamente semplice formarsi un’opinione sull’impatto del socialismo su variabili quali pil pro capite, povertà, disuguaglianza. L’ideologia (e la mitologia a essa collegata) è una facile scorciatoia, che però porta solo a un rispecchiamento sterile. Se invece si vuole laicizzare la discussione, conviene affidarsi alle pochissime analisi degli economisti che, in mezzo a una produzione scientifica molto vasta, utilizzano le più recenti e accreditate tecniche empiriche di valutazione delle politiche economiche. 

Uno di questi studi (“The economic consequences of Hugo Chávez: A synthetic control analysis”) riguarda proprio l’esperienza chavista (iniziata nel 1998 e di cui Maduro si dice difensore/prosecutore) ed è dunque opportuno richiamarne i risultati nel momento in cui il Venezuela torna all’attenzione dei media. Gli autori dell’articolo considerano gli anni tra il 1970 e il 2009 – gli anni buoni del regime chavista per l’elevato prezzo del petrolio– e, per questo periodo, confrontano il pil pro capite del Venezuela con quello di un insieme di  paesi (anch’essi sudamericani o importanti produttori di petrolio) scelti in modo tale da essere estremamente comparabili al Venezuela sulla base di diverse caratteristiche osservate prima del 1998 (anno della presa del potere  di Chávez). 

Emerge che fino a quell’anno l’andamento del pil pro capite venezuelano non si discostava da quello dei paesi di confronto, mentre negli anni successivi inizia una forte divergenza a sfavore del Venezuela. La perdita di pil pro capite è drammaticamente ampia per tutto il periodo successivo al 1998. Si obietterà: il pil pro capite non è l’unica metrica possibile a cui guardare. Vero, anche se tutte le statistiche disponibili mostrano che il pil pro capite è  molto correlato a tantissimi altri indicatori non economici di benessere. In ogni caso, usando la stessa metodologia di confronto tra paesi, lo studio mostra anche che la rivoluzione chavista non ha portato benefici in termini di aspettativa di vita, mortalità infantile, tasso di povertà, disuguaglianza. Una perdita secca, insomma, anche se la si guarda da sinistra. 

Il caso venezuelano non è isolato e altri studi suggeriscono effetti comparabili per Cuba: perdita di pil e aumento della mortalità infantile. Più in generale, si sta accumulando un ampio consenso sul fatto che tutte le esperienze politiche populiste, siano esse di stampo socialista o meno, sono nocive per l’economia. In particolare, uno studio recente e molto influente (“Populist Leaders and the Economy”) analizza 60 paesi dal 1900 al 2020 e stima che, a 15 anni dalla presa del potere da parte di una qualche leadership populista, il pil pro capite è mediamente inferiore del 10 per cento circa rispetto a uno scenario di assenza di populismo. E questo è vero sia per il populismo di sinistra sia per quello di destra. Naturalmente è doveroso segnalare che i risultati di questi studi sono soggetti a margini di errore e di incertezza, ma sono anche la migliore evidenza (provvisoria per definizione) a oggi disponibile, basata su metodi e procedure soggette al continuo scrutinio della comunità scientifica, com’è tipico delle società aperte e delle democrazie liberali. 

Infine, il legame tra populismo di destra e di sinistra, da un lato, e scarse performance macroeconomiche, dall’altro, ci riporta immediatamente al caso italiano: un paese con un’economia stagnante da trent’anni e, al contempo, con un’offerta politica molto sensibile alle sirene bipopuliste e incapace di attuare un’agenda di riforme per la crescita economica (che dovrebbe abbracciare anche il tema drammatico del declino demografico). Un mix potenzialmente letale. 

Di più su questi argomenti: