In Venezuela
Maduro ha perso, ci sono prove schiaccianti
L'opposizione sapeva che ci sarebbero stati brogli da parte del regime e si è organizzata. Ora subisce la repressione, ma anche l'America dice che il vincitore è Edmundo González Urrutia e che aiuterà il paese nella transizione. La vita da reclusa combattente di María Corina Machado, la manifestazione, le scelte degli altri paesi e le cose che fanno cadere i tiranni
“Considerate le prove schiaccianti, è chiaro agli Stati Uniti e soprattutto al popolo venezuelano che Edmundo González Urrutia ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni presidenziali in Venezuela del 28 luglio”, ha detto il segretario di stato americano Antony Blinken giovedì sera, che significa: Nicolás Maduro, presidente dal 2013, ha perso e non può più restare dove s’ostina – con la forza – a rimanere, cioè alla guida di un Venezuela che gli ha votato contro. Finora i commenti americani si erano concentrati sulla preoccupazione per la repressione messa in atto da Maduro – che ha dichiarato di avere il 51 per cento dei voti e da quel momento ha tentato di soffocare in tutti i modi chi aveva le prove che non è così (non ce l’ha fatta) – e avevano minacciato sanzioni.
Ma ora dicono: Maduro non sarà più il presidente del Venezuela, che vuole dire prendersi la responsabilità di far rispettare la volontà del popolo venezuelano. E poiché si tratta e si tratterà di una transizione complicata – Maduro non vuole lasciare il potere, i suoi alleati internazionali sono quelli che sognano un ordine globale alternativo all’America, a partire dalla Russia – è importante che sia stata presentata al Senato una risoluzione bipartisan che riconosce Edmundo González Urrutia come presidente eletto. Democratici e repubblicani non vanno d’accordo su nulla, ma sull’illegittimità della rielezione di Maduro sì (non sempre con le stesse motivazioni, ma non importa): i senatori che hanno presentato la risoluzione sono i democratici Dick Durbin, Tim Kaine e Michael Bennet, e i repubblicani Marco Rubio, Rick Scott e Bill Cassidy.
Le prove schiaccianti sono dei rotoli di carta con i bordi bianchi e azzurri sul retro e con davanti un codice di autenticazione, la firma dell’atto di scrutinio, un QR code e i risultati per ogni seggio elettorale: sono chiamati “chorizo”, salsiccia, sono forniti dalle macchine per il voto che vengono utilizzate in Venezuela dall’inizio degli anni Duemila e vengono poi registrati dal Consiglio nazionale elettorale (Cne) che dichiara il vincitore. Il sito del Cne è offline dal giorno delle elezioni, ma Maduro è stato dichiarato comunque il vincitore, così l’opposizione ha pubblicato i chorizo ottenuti dai testimoni nei seggi (che non hanno potuto essere presenti in tutti i 30 mila seggi perché le forze dell’ordine cercavano di tenerli fuori) sul portale “Los presidenciales 2024” consultabile da chiunque abbia un documento d’identità venezuelano. Sul portale “Resultados” sono pubblicati anche i chorizo: ne è stato registrato l’81,70 per cento che dice che 7.156.462 persone hanno votato per González, 3.241.461 per Maduro, il 67 per cento contro il 30. Blinken ha detto che il vantaggio non è recuperabile: Maduro ha perso. Il regime ha risposto con il bollettino del Cne, ribadendo la sua vittoria: 51,95 per cento contro il 43,18 di González. Nessuna verifica è possibile su quel che è successo in questi cinque giorni.
L’opposizione sapeva che il presidente si stava preparando a imbrogliare e ha cercato di organizzarsi il più possibile: i chorizo restano la prova schiacciante – chi ha potuto è andato a confrontare il proprio talloncino di voto con quelli pubblicati per verificarne l’autenticità. María Corina Machado, leader dell’opposizione che aveva vinto le primarie dell’opposizione ma è stata squalificata dal regime, ha raccontato sul Wall Street Journal le “prove schiaccianti”, ha indetto una manifestazione per oggi, ha detto di dover stare nascosta perché teme per la propria vita, e ha fatto un appello: “Noi venezuelani abbiamo fatto il nostro dovere. Abbiamo votato per estromettere Maduro. Ora spetta alla comunità internazionale decidere se tollerare un governo evidentemente illegittimo”.
Anche il regime ovviamente si era preparato, organizzando la repressione: ci sono almeno 16 morti, più di 740 arresti, alcuni attivisti sono scomparsi, secondo il Guardian sono arrivati a Caracas uomini della Wagner russa. Il Wall Street Journal ha ricapitolato brevemente lo stato della catena di comando di Maduro: “Il capo delle Forze armate, Vladimir Padrino López, è vicino a Mosca. Diosdado Cabello, che dà ordini alla polizia e ai servizi segreti, è vicino a Cuba e ha una taglia di 10 milioni di dollari per traffico di droga”. Brasile, Messico e Colombia continuano a chiedere che il regime pubblichi i dati elettorali, mentre sono stati interrotti i rapporti diplomatici con Argentina, Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica dominicana e Uruguay.
Maduro ha alleati che non lo abbandoneranno, ma è isolato da altri paesi che credeva amici, ha contro una comunità internazionale che ha deciso di prendersi la responsabilità di aiutare la transizione, e un’opposizione organizzata, pronta, “di buon umore”, scrive Anne Applebaum: sono le cose che fan cadere i tiranni.