La leader dell'opposizione venezuelana, Corina Machado (Foto LaPresse)

Ritratto di María Corina Machado, la pasionaria liberal del Venezuela

Maurizio Stefanini

Nel 2012 la definirono “la donna che ha fatto stare zitto Chávez”. Oggi è la leader dell’opposizione che denuncia i brogli elettorali e cerca di mettere Nicolás Maduro con le spalle al muro

"Espropriare, cioè rubare!”, fu la frase con cui nel 2012  María Corina Machado divenne “la donna che ha fatto stare zitto Chávez”. “Scrivo questo di nascosto, temendo per la mia vita, per la mia libertà” è l’attacco del suo articolo uscito giovedì scorso sul Wall Street Journal. Dodici anni dopo, e undici anni dopo la morte di Chávez, pur impedita a partecipare alle elezioni presidenziali è la leader dell’opposizione che sta provando a mettere Nicolás Maduro con le spalle al muro. Scomoda per i vari presidenti che si sono succeduti a Caracas, ma scomoda anche per l’opposizione. 

  

Per il Foglio, l’autore di queste note l’aveva intervistata due volte, subito prima e subito dopo il giuramento di Juan Guaidó come presidente a interim. “La situazione del Venezuela si risolverà solo quando si applicheranno contro il regime tutte le forze interne e esterne”, ci aveva detto prima. “Sono una difenditrice della democrazia, della libertà, della giustizia e dell’eguaglianza, e sono anni che cerco di spiegare al mondo la vera natura del regime che si è installato in Venezuela. Non è una dittatura classica e neanche un vero sistema totalitario, ma il crimine organizzato che diventa governo”. Dunque, secondo lei, l’opposizione aveva fatto un “grave errore” a non aver compreso la natura di questo sistema. “Col populismo Chávez ha saputo mascherare un sistema di controllo sociale su tutto, che ha permesso a molta gente di rubare molto denaro ai venezuelani. Durante quattro anni il regime ha ingannato un settore dell’opposizione e ha ingannato la comunità internazionale, presentando un supposto dialogo che era in realtà una grande farsa. Hanno preso in giro il Vaticano, quando nell’anno 2016 gli hanno detto che erano disposti a un dialogo per valutare la transizione. Ricordo che a Parolin avevano dato una lettera in cui Maduro aveva promesso il riconoscimento del parlamento, dove l’opposizione ha la maggioranza, la liberazione dei detenuti politici, l’apertura di un canale umanitario, la fine della repressione politica. Che ha fatto invece Nicolás Maduro? Una escalation. Più repressione, più prigionieri politici, l’imposizione di una illegittima e incostituzionale Assemblea nazionale costituente”.

 

Purtroppo, è lo stesso scenario che si è ripetuto tra 2023 e 2024 con gli Accordi di Barbados. Spesso accusata di “volere un intervento esterno”, María Corina ci aveva fatto osservare che “in Venezuela c’è già un’invasione in corso. Un’invasione dei guerriglieri colombiani che hanno occupato il territorio. Un’invasione dei cubani, che si sono infiltrati nello stato e tra i militari. Un’invasione dei narcos. Non è stato solo un errore dell’opposizione: è stato anche un errore della comunità internazionale il credere che con questo regime criminale si possa coabitare, fare concessioni o immaginare qualcun tipo di collaborazione”.

 

Machado appoggiò quindi con convinzione la successiva proclamazione di Guaidó.  “Il Venezuela ha un solo presidente e si chiama Juan Guaidó!”, ci disse. “Nicolás Maduro è un dittatore che si trova trincerato con la forza a Miraflores”.  Adesso il nome del presidente è Edmundo González Urrutia ma, di nuovo, più o meno quanto detto allora potrebbe essere ripetuto ora. “L’unico negoziato possibile in questo momento è per stabilire la data in cui Nicolás Maduro se ne andrà e le garanzie che gli si offriranno per la sicurezza sua e della sua famiglia”. “Per anni questo regime ha ingannato la società venezuelana, ha ingannato la comunità internazionale, ha ingannato perfino il Vaticano e Papa Francesco, col parlare di un dialogo che mai è stato fatto in buona fede. Quello che Maduro cercava era solo guadagnare tempo e ossigeno per restare al potere e distruggere le forze democratiche. Per questo siamo ormai arrivati a un punto in cui né la comunità internazionale né i venezuelani possono più credere alla parola di un Nicolás Maduro”. 

 

Da questa intransigenza deriva anche a María Corina Machado una immagine da “Giovanna d’Arco dell’antichavismo” che è usata sia in senso positivo che negativo. Dal punto di vista del regime, la si bolla come una figlia della “oligarchia”. Tecnicamente, è vero. Nata a Caracas il 7 ottobre 1967, maggiore di quattro sorelle, suo padre era Henrique Machado Zuloaga: defunto l’anno scorso; erede di una dinastia di magnati dell’acciaio, con studi alla London School of Economics; presidente esecutivo di quella società siderurgica Sivensa che fu in parte espropriata senza indennizzo da Chávez, ovviamente mandandola poi in dissesto. Lei ha ammesso di aver vissuto “una infanzia blindata dalla realtà”. Scuola in un esclusivo istituto cattolico, laurea in Ingegneria industriale presso l’Università Cattolica Andrés Bello e master in finanza presso l’Instituto de Estudios Superiores de Administración di Caracas, ha fatto anche parte del World Fellows Program della Yale University nel 2009.

 

Anche la sua esaltazione per la provenienza da un dna di lottatori per la libertà, però, è fondata. Un suo trisavolo fu Eduardo Blanco: aiutante del padre della patria José Antonio Páez: ministro degli Esteri tra 1900 e 1901 e dell’Istruzione pubblica tra 1904 e 1906; diplomatico, storico, scrittore, e in particolare autore di un romanzo storico intitolato “Venezuela Heroica”, che è alla base di tutta la mitologia patriottica nazionale. Un altro suo avo fu  José Tomas Machado Afanador: ufficiale di marina durante la guerra di indipendenza, e fondatore della prima “Sociedad liberal de Venezuela”. E un altro ancora Armando Zuloaga Blanco, morto in combattimento durante quella “Spedizione del Falque” in cui nel 1929 un gruppo di esuli provò a rovesciare Juan Vicente Gómez, un dittatore che con Maduro ha anche una certa somiglianza: sia fisica, sia come durata di attaccamento ostinato al potere. 

 

Entrambi i genitori erano grandi borghesi illuminati, attivi nel sociale. Il padre, in particolare, fu promotore dell’iniziativa  Eureka 90 con cui imprese sia private che pubbliche premiavano l’inventiva e l’innovazione dei lavoratori. La madre, Corina Parisca de Machado, ex tennista, era una psicologa impegnata nell’aiuto ai bambini di strada. Anche María Corina a un certo punto seguì questa strada e nel 1992 creò la Fundación Atenea,  per assistere i bambini di strada di Caracas. Presidente anche di una  Fondazione Opportunitas, è stata poi cofondatrice della ong  Súmate nel 2001: l’anno in cui ha termine il suo matrimonio con l’imprenditore Ricardo Sosa Branger, sposato nel 1990, e da cui ha avuto Ana, Henrique e Ricardo. Ma è anche il momento in cui dopo l’arrivo al potere di Chávez i partiti tradizionali attraversano una gravissima crisi.  “Qualcosa è scattato. Avevo questa sensazione inquietante che non potevo restare a casa e guardare il paese polarizzarsi e collassare”, avrebbe spiegato in seguito. “Dovevamo mantenere il processo elettorale ma cambiare il corso, per dare ai venezuelani la possibilità di contare noi stessi, per dissipare le tensioni prima che si accumulassero. E’ stata una scelta di voti piuttosto che di proiettili”.

 

In prima linea sia nelle grandi mobilitazioni del 2002-03 che nel referendum revocatorio del 2004, ne ricavò da George W. Bush un invito alla Casa Bianca, il 31 maggio del 2005; e dal regime di Chávez un processo che le tolse il diritto di uscire dal paese per tre anni. E sì che lei negli Stati Uniti aveva riconosciuto l’appoggio dei venezuelani a Chávez, e “le cose positive che sono state fatte”. Anche se aveva accusato il presidente di farsi via via “sempre più intollerante”.

 

Candidata alle politiche del 26 dicembre 2010, ebbe il coraggio di fare campagna in baraccopoli che dopo essere state roccaforti chaviste iniziavano ora a essere deluse, e fu la deputata con più preferenze di tutti gli eletti: sia chavisti che antichavisti. Così, si presentò anche alla primarie del 12 febbraio 2012, dove però arrivò solo terza su sei:  114.107 voti, pari al 3,81 per cento. Il punto è che il Venezuela era un paese che la bonanza petrolifera aveva abituato a forti interventi statali, e anche l’antichavismo era in gran parte socialdemocratico. L’altro soprannome di Lady di Ferro indica invece in María Corina una ammiratrice di Margaret Thatcher, sostenitrice del “capitalismo popolare” e anche di massicce privatizzazioni, compresa la petrolifera Pdvsa. “Nel caso del settore energetico o di altre industrie, il Venezuela ha un enorme potenziale che richiede enormi investimenti. Non abbiamo le risorse per questo”, spiega. “Questo paese è stato saccheggiato: bisogna aprire i mercati. E dobbiamo creare condizioni così competitive, così attraenti, che le risorse internazionali vengano investite qui nonostante quello che è successo nel regime precedente”. Sulla istruzione crede invece “nei sussidi, che possono essere dati direttamente ai genitori affinché possano scegliere il tipo di istruzione che desiderano per i propri figli, se pubblica o privata”. Tra i suoi ispiratori: Ludwig von Mises; il venezuelano Carlos Rangel autore del noto pamphlet “Dal buon selvaggio al buon rivoluzionario”; e anche la “rivoluzione informale” del peruviano Hernando de Soto.

 

Ancora troppo per il Venezuela di allora, malgrado il colossale spot che le aveva regalato proprio Chávez, col parlare dieci ore in Assemblea nazionale per un discorso di “memoria e resoconto presidenziale” che alla fine lei interruppe proprio gridandogli le parole poi diventate slogan: “Sono dieci ore che la stiamo ascoltando descrivere un paese molto distante da quello che vivono tutte le donne e madri venezuelane. E’ il momento di dare risposte al paese. Lei si è dedicato solo a espropriare, cioè a rubare”. “E’ fuori classifica per discutere con me. Mi dispiace così tanto, mi dispiace così tanto. Ma questa è la verità. Mi ha persino chiamato ladro davanti al paese, ma non la offenderò. L’aquila non cattura le mosche”, fu la risposta. Mentre però deputati chavisti gridavano allo scandalo e chiedevano di incriminarla per vilipendio al capo dello stato, alla fine fu proprio il presidente a stringerle la mano e a prometterle che se avesse perso le elezioni  avrebbe considerato “suo dovere passarle la fascia presidenziale”.

 

María Corina è comunque abbastanza sulla cresta dell’onda da decidere di creare il 24 maggio 2012 il partito Vente Venezuela. Attenzione: lei è tacciata spesso di essere di estrema destra, ma Vente Venezuela sta nell’Internazionale liberale, il che indica un approccio non conservatore o sovranista, ma piuttosto macroniano. “Per i marxisti se non sei di sinistra sei di estrema destra, ma Vente è un partito di liberali di centro”, spiega. A parte le privatizzazioni e il divieto di rielezione alle cariche politiche in Venezuela, è a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostiene la legalizzazione della cannabis medica e ha chiesto un dibattito nazionale sulla legalità dell’aborto.

 

Ma il 31 marzo 2014 è rimossa dall’incarico di deputata, per la presunta flagrante violazione degli articoli 149 e 191 della Costituzione del Venezuela del 1999, dopo aver accettato l’incarico di “ambasciatore supplente” di Panama presso l’Organizzazione degli stati americani per potervi denunciare le violazioni dei diritti umani in Venezuela. Il tutto nell’ambito di una spirale repressiva che ha portato all’arresto dell’ex sindaco di Chacao Leopoldo López: e María Corina di nuovo si segnala come intrepida conduttrice di proteste di piazza, chiamando alla   “disobbedienza civica”. Il 31 luglio 2015 è interdetta dai pubblici uffici per 12 mesi. Nell’ottobre 2018 è aggredita da una squadraccia del regime, che le rompe il naso. 

 

Terminata l’esperienza di Guaidó, quando da nuovi negoziati con mediazioni internazionali emerge lo scenario di un nuovo voto con garanzie nel 2022, annuncia la sua partecipazione alle primarie dell’opposizione, e dal 15 marzo 2023 inizia un tour elettorale che da allora non si è praticamente mai interrotto. Malgrado minacce, pressioni, e a un certo punto le rappresaglie del regime, che puniscono gli esercenti a cui si appoggia per mangiare e dormire. Ma critica anche la leadership tradizionale dell’opposizione, affermando che le primarie sono anche uno strumento per eleggerne una nuova. La candidatura, però, è anche una apertura a un confronto col governo, e un’attenuazione dei suoi toni più ideologici, in nome di un più generico richiamo al cambio.  

 

Il 30 giugno 2023 viene informata che è stata interdetta dai pubblici uffici per 15 anni, per il suo appoggio a  Guaidó. “Spazzatura”, è il suo commento. In effetti con gli Accordi di Barbados firmati il 17 ottobre 2023 tra governo e opposizione con la mediazione di Norvegia, Barbados, Russia, Paesi Bassi, Colombia, Messico e Stati Uniti, in teoria il problema dovrebbe essere superato. In cambio del progressivo allentamento delle sanzioni messe dagli Stati Uniti, si stabilisce infatti il diritto di ogni attore politico a selezionare i suoi candidati, garanzie elettorali e elezioni presidenziali nel secondo semestre del 2024. E il 22 ottobre alle primarie dell’opposizione María Corina prende 2.253.825 voti, pari al 92,35 per cento. Come Milei nell’Argentina già peronista, anche la Machado nel Venezuela già socialdemocratico indica la fine di un modello ormai collassato. 

 

Ovviamente, non è detto che ciò che verrà dopo funzionerà meglio. Ma, malgrado abbia in pratica accettato di riconoscere il regime chiedendo la revoca della inabilitazione in base agli Accordi, a María Corina non è concesso presentarsi. Passa allora la candidatura alla professoressa universitaria Corina Yoris, ma neanche a lei il sistema informatico permette di iscriversi, malgrado in teoria non vi sia nessun impedimento legale. In extremis si riesce a candidare l’ambasciatore Edmundo Gonzáles Urrutia. “Abbiamo iniziato questa campagna autofinanziata nella periferia e ci siamo spostati nelle aree urbane. La nostra gente era come un’onda di marea. Sono stanchi di un quarto di secolo di divisione, odio e ideologia. Vogliono recuperare le loro famiglie e la loro dignità”, ha spiegato sul Wall Street Journal. “Il regime non avrebbe mai potuto immaginare che il nostro movimento sarebbe cresciuto di numero e che, poco a poco, avrebbe conquistato l’intera base elettorale del chavismo”.

 

Gonzáles Urrutia è vincitore secondo sondaggi, exit poll e verbali resi noti dall’opposizione; perdente secondo un misterioso conteggio del Consiglio nazionale elettorale. “Sapevamo che il governo di Maduro avrebbe imbrogliato. Sappiamo da anni quali sono gli stratagemmi utilizzati dal regime e sappiamo perfettamente che il Consiglio elettorale nazionale è totalmente sotto il suo controllo”. “Era impensabile che Maduro riconoscesse la sua sconfitta”. Appunto per questo, 90.000 rappresentanti di lista nei 30.000 seggi elettorali in tutto il paese hanno fatto copia di tutti i verbali, e li hanno fatti arrivare in salvo. “Li hanno protetti con la vita”. E si torna così allo scontro di piazza.

 

“Maduro ha risposto con una repressione brutale. Le forze di sicurezza dello stato hanno ucciso almeno 20 venezuelani e ne hanno imprigionati più di 1.000,  mentre altri 11 risultano dispersi. La maggior parte della nostra squadra si nasconde e dopo che sette missioni diplomatiche sono state espulse dal Venezuela, i miei assistenti all’ambasciata argentina sono protetti dal governo brasiliano”. “Potrei essere catturata mentre scrivo queste parole”. Maduro dice che vuole vedere lei e González Urrutia “dietro le sbarre”. Lei risponde chiamando a nuove proteste: “E’ il momento di riscuotere!”. “Non avremo pace finché non saremo liberi”. Ed è scesa in piazza anche lei, rischiando l’arresto, tra le migliaia di venezuelani che hanno manifestato sabato scorso a Caracas e in altre città del paese.