Le proteste alla Science Po a Parigi - foto via Getty Images

UN FOGLIO INTERNAZIONALE

Uno Starbucks universitario

Gli scandali e le proteste pro Pal., venate di antisemitismo, hanno macchiato l’immagine di Sciences Po, la scuola di formazione dell’élite politica francese

Sciences Po, la scuola che si è data come missione la formazione dell’élite politica francese, è stata scossa da una serie di crisi dopo la morte dell’ex direttore Richard Descoings. Tre anni dopo lo scandalo dell’affaire Duhamel, Mathias Vicherat è stato costretto a dimettersi. E l’attivismo militante di alcuni studenti filo palestinesi ha macchiato la reputazione dell’istituto al punto da allontanare i principali sponsor. L’articolo di Martin Bernier sul Figaro del 29 luglio.

Un’immagine “profondamente intaccata”. Jean Bassères, amministratore provvisorio di Sciences Po, ha ammesso che la successione di scandali che ha caratterizzato il 2024 ha colpito l’istituto nel profondo. A marzo ha perso il suo direttore – Mathias Vicherat, che è stato rinviato a processo per atti di violenza domestica reciproca – e ha suscitato reazioni sbigottite dopo che nei suoi locali sono state pronunciate frasi antisemite durante una manifestazione a sostegno della Palestina. Un tempo ammirata e venerata, la scuola di rue Saint-Guillaume si è ritrovata vituperata: accusata di essere diventata un luogo in preda a una decostruzione che avrebbe provocato prima di subire. Mentre alcuni membri dello staff della scuola ammettono di aver “perso la battaglia della comunicazione”, molti docenti ed ex studenti, che non nascondono più il loro sgomento per ciò che è diventata la loro alma mater, considerano questa spiegazione riduttiva. 

“Sta diventando una sorta di Starbucks universitario”, dice un ex studente. La prova è nelle immagini: a metà luglio, il giardino di Sciences Po ha visto gli uni accanto agli altri studenti che si preparavano per i concorsi di ammissione all’alta amministrazione e giovani partecipanti alla Summer School seduti a gambe incrociate sul prato. Lo scatto da solo potrebbe riassumere le trasformazioni di un istituto che negli ultimi anni ha visto esplodere le proprie iscrizioni, a volte a rischio di alterare la propria identità. Quando Émile Boutmy morì nel 1906, gli studenti di Sciences Po erano appena cinquecento, se si includono tutte le discipline, oggi, sono quasi 15.000. Questa moltiplicazione per trenta ha stravolto la scuola, costringendola ad ampliare le proprie strutture e ad aprire sei campus regionali a Nancy, Digione, Mentone, Le Havre, Reims e Poitiers.

Agli inizi, la storia immobiliare di Sciences Po illustrava la vocazione primaria dell’istituzione: a metà degli anni Settanta si stabilisce negli ex locali dell’Ena, al 56 di rue des Saints-Pères, poi nel 2005 acquista l’edificio situato al 13 di rue de l’Université, dove si era trasferita l’École nationale d’administration prima di fare le valigie per Strasburgo. Non sono certo coincidenze per una scuola che ha formato l’80 per cento degli enarchi tra il 1945 e il 1980 e il 90 per cento negli anni 2000. La percentuale è rimasta relativamente stabile: all’ultimo esame di ammissione all’Insp (che ha sostituito l’Ena), 38 candidati su 46 hanno frequentato l’istituto di rue Saint-Guillaume. Ma se da un lato la scuola si vanta di questi risultati come vetrina di eccellenza, dall’altro, da quando Richard Descoings ha assunto le redini nel 1996, è stato lanciato un messaggio diverso: Sciences Po non è solo questo. Per attirare un’ampia gamma di profili, è persino disposta a relegare ai margini la formazione delle élite politiche e amministrative. Ad esempio, nel libro pubblicato dalla scuola in occasione del suo 150esimo anniversario, “Sciences Po. Le roman vrai” (2022), si legge: “Quando fu fondata come università generalista, l’École libre des sciences politiques si specializzò nella preparazione degli studenti per i concorsi di ammissione all’alta amministrazione, perché le mancava una clientela”.

Un professore storico della scuola ci ricorda che Sciences Po “è stata costruita contro l’università” e che l’obiettivo primario di Émile Boutmy era quello di formare dirigenti in grado di ricostruire la Francia dopo la sconfitta di Sedan. Nell’opuscolo del 1872 si legge che la scuola si rivolgeva a “giovani che intendono entrare nel servizio diplomatico (...), che intendono sostenere l’esame di revisore dei conti presso il Consiglio di stato o candidarsi a uno dei posti di segretario generale di un dipartimento, sottoprefetto, consigliere di prefettura, (...) che si sono orientati verso l’ufficio di revisore dei conti presso la Cour des comptes o l’Inspection générale des finances”. Dieci anni dopo, la scuola aprì una sezione di finanza. Ma fu solo con Richard Descoings che la “scuola del potere” completò la sua trasformazione in “scuola del mercato”. “Un termine che lo stesso Descoings usava”, ricorda Marie-Françoise Bechtel, direttrice dell’Ena tra il 2000 e il 2002, che faceva parte del Consiglio di Sciences Po. “Nei corridoi, ricordo di aver sentito un maître des requêtes del Consiglio di stato dire che gli studenti migliori non dovevano più essere indirizzati verso la sezione del servizio pubblico”, continua con amarezza. Perché dietro le metamorfosi di un’istituzione parigina come Sciences Po, secondo lei, è in gioco l’attaccamento dell’élite alla nazione. 

A dimostrazione di questo cambiamento, la sezione di servizio pubblico è stata ribattezzata poco tempo dopo “Scuola di Affari pubblici”. E propone ora di formare “persone capaci di elaborare soluzioni illuminate, innovative e pratiche alle più grandi sfide dell’umanità, al servizio del bene comune, in una prospettiva europea, internazionale e multiculturale”. E’ scomparso il riferimento al servizio dello stato. È un paradosso per una scuola i cui ultimi tre direttori provengono dai ranghi dell’Ena? Non proprio per Richard Descoings, che non ha mai nascosto la sua avversione per le amministrazioni polverose. “Rieccomi in questo mortorio”, si lamentava al suo ritorno al Consiglio di stato, dopo un periodo in un gabinetto ministeriale, come racconta Raphaëlle Bacqué nel suo libro “Richie”. Anche i suoi due successori a Rue Saint-Guillaume, Frédéric Mion e Mathias Vicherat, non vollero rimanere a lungo nell’alta amministrazione: dopo qualche anno di servizio, passarono rispettivamente a Canal+ e a Danone. Forse è stato Danone a ispirare a Vicherat un’idea innovativa per la scuola: darle una “ragion d’essere”. Nell’aprile del 2023, Vicherat metterà al voto una serie di proposte tra gli studenti, gli insegnanti e il personale della scuola, per contribuire a “definire in poche parole l’ambizione per il futuro e l’utilità sociale” di Sciences Po. Questo processo, diffuso nelle grandi aziende e nel mondo associativo, è estraneo al mondo universitario. Ma in una scuola in crisi di identità, si è ritenuto opportuno specificare a cosa potesse servire la formazione fornita agli studenti. 7.000 persone si sono messe in gioco e alla fine si sono accordate su “Capire il nostro tempo per fare la differenza”. Questa nuova e onnicomprensiva ragion d’essere suggerisce che Sciences Po, pur non essendo diventata una business school, si sta trasformando in un’azienda. 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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