Le immagini

Proseguono le proteste in Venezuela contro Maduro, "disposto a tutto" per restare al potere

Il paese è nel caos dopo le elezioni. Alle manifestazioni lo stato risponde con la repressione e promette nuove carceri. Il presidente ucraino Zelensky avverte: mercenari della Wagner nelle strade di Caracas. Contro il caudillo anche esponenti storici del chavismo

Maurizio Stefanini

Sia gli oppositori che i sostenitori di Maduro sono scesi in piazza sabato. I sostenitori del governo, però, solo a Caracas, per ascoltare un comizio del presidente davanti al palazzo di Miraflores. Anche María Corina Machado è tornata in pubblico a parlare alla folla nella capitale, dopo avere informato sul Wall Street Journal di essersi nascosta per motivi di sicurezza. “Mai siamo stati così forti!”, ha proclamato. Ma ci sono state anche altre manifestazioni dell'opposizione in giro per il mondo. E a Caracas i manifestanti hanno riempito i muri con copie dei verbali elettorali che l'opposizione ha riprodotto e il regime ancora non esibisce, e che dimostrano la vittoria di Edmundo González Urrutia.
 

Non senza pericoli. Il regime ha spiegato sulla manifestazione dell'opposizione droni minacciosi e il presidente ucraino Zelensky ha avvertito della presenza di mercenari russi del Gruppo Wagner nelle strade di Caracas a sostegno di Maduro. Lo stesso Maduro parlando davanti alla Guardia Nazionale si è detto “disposto a tutto” pur di conservare il potere, e la organizzazione per i diritti umani Foro Penal ha denunciato per la repressione almeno 11 morti e 988 detenuti, di cui 91 minorenni. Ma è il regime stesso a parlare di ameno 2000 arresti, Maduro ha promesso che farà costruire due carceri di massima sicurezza per sottoporre gli oppositori arrestati ai lavori forzati, e altre fonti arrivano ad almeno 20 morti.

 

La moglie di Freddy Superlano, dirigente della opposizione arrestato di cui si teme che stia venendo torturato, ha chiesto prove che sia ancora in vita. “Ritengo Nicolás Maduro responsabile di ciò che potrebbe accadergli”, ha avvertito mentre lasciava un tribunale a Caracas. Amnesty International, Center for Justice and International Law, CIVICUS, International Commission of Jurists, Freedom House, Global Centre for the Responsibility to Protect, International Institute on Race, Equality and Human Rights, International Rehabilitation Council for Torture Victims, Washington Office on Latin America, World Organization Against Torture e Robert F. Kennedy Human Rights hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui condannano le azioni repressive del regime di Nicolás Maduro in Venezuela e chiedono che garantisca il diritto di protestare e il pieno rispetto dei diritti alla vita, all’integrità personale e alla libertà.
 


Anche l'Ufficio Politico del Partito Comunista del Venezuela ha lanciato un messaggio di “allarme” all'“opinione pubblica internazionale”, dove denuncia che Nicolás Maduro, dopo “aver privato il popolo dei diritti sociali ed economici”, ora minaccia di privarlo dei suoi “diritti democratici”. Un gruppo di esponenti storici del chavismo, tra cui vari ex-ministri, ha rivolto un appello ai tre presidenti di sinistra del Brasile Luiz Inácio Lula Da Silva, di Colombia Gustavo Petro e del Messico Andrés Manuel López Obrador, perché intervengano presso Maduro per porre fine alla repressione. Secondo loro, la crisi politica è dovuta “al non rispetto, da parte del Consiglio Nazionale Elettorale, delle attribuzioni e obbligazioni derivate dalla Legge Organica dei Processi Elettorali vigente”. Chiedono dunque una “uscita civica, pacifica, democratica e costituzionale, a questa grave crisi che minaccia la pace nella nostra nazione”.
 

 
È questo uno snodo importante. Edmundo González Urrutia ha ringraziato l'Unione europea per aver difeso i diritti fondamentali in Venezuela, dopo che la Ue ha affermato nel fine settimana che i risultati pubblicati dal Cne il 28 luglio non possono essere riconosciuti “senza prove a sostegno”. Anche María Corina Machado ringrazia per l'appoggio internazionale. Il Canada a sua volta dice che i risultati pubblicati dal Cne non riflettono la volontà del popolo venezuelano. E la vittoria di González Urrutia è stata riconosciuta da Perù, Stati Uniti, Argentina, Uruguay, Ecuador, Costa Rica e Panama.  Ma c'è aspettativa per un piano appunto attribuito ai governi di Colombia, Messico e Brasile, i cui presidenti   hanno parlato tra di loro giovedì per più di un'ora in videoconferenza.

.
I tre criticano il fatto che gli Stati Uniti abbiano riconosciuto il leader dell’opposizione come vincitore delle elezioni, perché ritengono che ciò dia a Maduro argomenti per fare appello alla retorica anti-Usa. Concordato però su due questioni centrali: intensificare le richieste al chavismo di consegnare i registri elettorali; un negoziato diretto tra il presidente Nicolás Maduro e l'oppositore Edmundo González senza María Corina Machado, di cui sembra oramai di capire che Maduro avrebbe una paura quasi fisica. Sia la Colombia che il Messico, soprattutto, hanno sottolineato la necessità di fermare ogni escalation di violenza. I tre paesi hanno chiesto ai rispettivi ministri degli Esteri di dare seguito a questa conversazione e non è escluso un incontro dei tre in Venezuela nei prossimi giorni.
 

Il momento in cui è stata verbalizzata la necessità di mettere da parte la Machado sarebbe stato quello di maggiore tensione. L'incarico è stato affidato ai diplomatici colombiani, che sono quelli che hanno maggiori rapporti con l'opposizione venezuelana. Dovrebbe essere invece il Messico, attraverso il ministro degli Esteri Alicia Bárcena, a contattare il chavismo. Oggi, intanto, Lula è in visita in Cile da Boric. Il Venezuela in teoria non sarebbe nell'agenda dei colloqui, ma non c'è dubbio che ne parleranno. Col Cile che ospita già 800.000 rifugiati venezuelani, Boric ha proposto ai paesi sudamericani di coordinare le quote di rifugiati di fronte a un possibile nuovo massiccio esodo.

Di più su questi argomenti: