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l'editoriale del direttore

Contro gli utili idioti degli ayatollah

Claudio Cerasa

Più Teheran si indebolirà e più l’occidente sarà al sicuro. Più l’occidente riuscirà a dimostrare la sua vicinanza a Israele, nei momenti di difficoltà, e più le democrazie saranno al sicuro

Tu chiamali, se vuoi, i fondamentali di un conflitto, i punti cardinali delle società aperte, gli elementi necessari per orientarsi, nel mondo libero, quando la scintilla diventerà fuoco. Douglas Murray è un famoso osservatore conservatore, scrive con una certa regolarità sul Telegraph e qualche giorno fa ha mostrato senza ipocrisie qual è l’elefante nella stanza quando si ragiona sul conflitto a distanza tra Israele e Iran. L’elefante è lì e nessuno sembra volerlo vedere. Più l’Iran si indebolirà e più l’occidente sarà al sicuro. Più l’occidente riuscirà a dimostrare la sua vicinanza a Israele, nei momenti di difficoltà, e più l’occidente sarà al sicuro. E più l’occidente, proteggendo Israele, riuscirà a dimostrare di essere disposto a mettere in campo la sua deterrenza per proteggere il mondo libero dagli stati canaglia che compongono l’asse del male guidato dall’Iran e più le probabilità che le azioni dell’asse del male siano evitate aumenteranno. Non sappiamo quando succederà, non sappiamo cosa succederà, ma sappiamo che quando succederà, quando l’Iran cercherà di ferire a morte Israele, come fa ininterrottamente da anni, dal giorno successivo alla trasformazione dell’Iran in uno stato canaglia guidato dall’islamismo fondamentalista, ci sarà una domanda alla quale le opinioni pubbliche mondiali e le cancellerie internazionali dovranno rispondere senza se e senza ma. E noi da che parte stiamo? O se volessimo essere ancora più chiari e meno diplomatici: vogliamo essere anche in questa occasione gli utili idioti degli ayatollah?

 

Si può pensare quello che si crede di ciò che sta succedendo a Gaza, facendo finta di non capire chi è l’aggressore e chi è l’aggredito. Si può pensare tutto quel che si vuole di Netanyahu, facendo finta di non capire che dopo il 7 ottobre qualunque premier israeliano avrebbe fatto il possibile e l’impossibile per recuperare gli ostaggi tenuti prigionieri nei tunnel di Hamas. Ma di fronte alla possibilità che lo stato di Israele venga nuovamente colpito al cuore dalla centrale del terrorismo mondiale di nome Iran non dovrebbe essere troppo difficile ricordare che mai come oggi difendere Israele significa difendere anche noi stessi da chi esporta nel mondo la grammatica del terrore. E di fronte a uno scenario di questo tipo, di fronte a uno scenario in cui Israele potrebbe nuovamente ritrovarsi attaccato su sette fronti, Iran, Libano, Gaza, Yemen, Cisgiordania, Iraq, Siria, dovrebbe essere chiaro a tutti che l’occidente libero piuttosto che fare di tutto per isolare Israele, piuttosto che fare di tutto per disapprovare la sua condotta, piuttosto che provare a frenare l’unica democrazia del medio oriente, dovrebbe sostenere la difesa di Israele su ogni fronte. Dovrebbe fare pressioni su Hamas, combattendola, isolandola, denunciando ogni giorno le sue violenze, ricordando, senza falsa retorica, che l’unico modo per avere una “free Palestine” è liberarsi di Hamas, e riconoscendo che avere un terrorista in meno, in giro per il medio oriente, non significa vendicarsi ma significa semplicemente indebolire i terroristi. Dovrebbe fare pressioni sull’Onu, l’occidente libero, ricordando che le minacce che arrivano dal Libano contro Israele nascono perché la comunità internazionale, Onu compresa, ha scelto di chiudere gli occhi di fronte alle violazioni dei terroristi di Hezbollah.

 

Nel 2006 nacque Unifil, con la risoluzione 1701, e secondo quella risoluzione non doveva esserci “personale armato, postazioni e armi” tra il confine di Israele e il fiume Litani “che non siano quelle dell’esercito libanese e delle forze Unifil”. Otto anni dopo Hezbollah ha consolidato il suo controllo sul Libano mediorientale, ha accumulato un arsenale di razzi e di missili puntati contro Israele, ha messo da parte missili di lunga gittata acquistati dall’Iran, ha accresciuto i suoi armamenti anti carro e anti blindati e negli ultimi nove mesi i suoi attacchi verso Israele hanno costretto 60 mila israeliani a scappare dalle loro case. Dovrebbe fare questo, dovrebbe denunciare ogni giorno l’assedio all’interno del quale vive Israele, e dovrebbe anche ricordare che arginare l’Iran, limitare il suo potere, intervenire sul suo piano di arricchimento dell’uranio, muoversi per evitare che Teheran abbia una bomba atomica, rendere vulnerabile lo stato degli ayatollah, colpire i suoi proxy, denunciare le efferatezze commesse ogni giorno dall’Iran nei confronti del mondo libero, non significa soffiare sul fuoco dell’escalation.

 

Significa piuttosto non usare la deterrenza come un feticcio retorico, significa ricordare all’Iran, e ai terroristi finanziati da Teheran, che il mondo libero è sempre dalla parte delle democrazie, che il mondo libero è sempre dalla parte di chi viene aggredito dai terroristi, che il mondo libero di fronte a un nuovo possibile attacco contro Israele non avrà titubanze a scegliere da che parte stare. Il 7 ottobre, come molte altre aggressioni ai paesi democratici in giro per il mondo, compresa quella russa all’Ucraina, non nasce perché i cattivi, per così dire, sono stati “provocati”. Nasce dal principio opposto. Nasce dall’idea che gli stati canaglia pensano e credono che non pagheranno un prezzo per le loro azioni, partendo dal presupposto che i nemici sono deboli, che gli avversari sono isolati, che l’occidente è troppo diviso per poter reagire con i fatti. Ha scritto ieri il Wall Street Journal che se Washington, insieme con i suoi alleati, avvertisse l’Iran che in caso di vendetta di Teheran nei confronti di Israele interverrebbero nel conflitto dalla parte di Gerusalemme – e in modo molto più muscolare di prima – sarebbe altamente probabile che i mullah ne prenderanno nota e procederebbero con più cautela, perché nonostante le loro esortazioni, il clero al potere e le guardie rivoluzionarie “rispettano ancora il potere americano e capiscono che il loro regime traballante non può permettersi un conflitto con gli Stati Uniti”. Fino a oggi, possiamo dire che spesso, dal 7 ottobre, è avvenuto l’esatto opposto. E fino a oggi, dal 7 ottobre, sono stati molti i casi in cui il regime di Teheran ha guardato con soddisfazione e compiacimento gli alleati di Israele. Il regime, per esempio, si è rallegrato degli utili idioti e di altri in occidente che in questi mesi si sono rivoltati più contro Israele che contro i terroristi di Hamas. Il regime, lo ricorderete, si è rallegrato, con un messaggio inviato direttamente dal leader supremo, l’ayatollah Khamenei, con gli studenti delle università americane che in più occasioni hanno invitato le istituzioni accademiche a protestare contro il diritto di Israele di difendersi. Murray dice che la guerra sarà finita quando Israele avrà riaffermato le sue capacità di intelligence e deterrenza militare contro i suoi nemici. E non ci vuole molto a capire che ha poco senso distruggere Hamas a Gaza se gli eserciti molto meglio armati e addestrati di Hezbollah continueranno a operare dal Libano meridionale. Questo è ciò che Israele sta facendo ora. Non sappiamo quando succederà. Ma sappiamo che quando succederà dovremo ricordare semplicemente l’evidenza e la verità. Ovverosia che ancora oggi, oggi più che mai, difendere Israele significa semplicemente difendere la capacità dell’occidente e del mondo libero di difendere sé stesso.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.