nuovi vertici

Sinwar si piglia tutto Hamas

Micol Flammini

Nominato al posto di Hanieyh, cade la divisione tra una leadership politica e di una militare. Era una maschera che lo stesso Haniyeh aveva inventato. Cosa cambia adesso: la guerra, il negoziato, il rapporto con l'Iran

Yahya Sinwar è stato nominato al posto di Ismail Haniyeh, in questo modo cade del tutto la maschera della divisione tra leadership militare e politica di Hamas. Sinwar è l’uomo che gestisce le operazioni dentro alla Striscia di Gaza, ha organizzato il 7 ottobre in ogni dettaglio assieme a Mohammed Deif, eliminato dall’esercito israeliano a luglio. Sinwar è il leader del tunnel, l’uomo che finora ha avuto l’ultima parola sui negoziati sulla liberazione degli ostaggi israeliani e il cessate il fuoco a Gaza, e ha risposto sempre “no”. E’ la prima volta che Hamas si priva della distinzione che era stato Haniyeh di fatto a inventare e ora il gruppo si riunisce sotto un’unica missione, mettendo in ombra la rilevanza dei leader che, come lo stesso Haniyeh, avevano scelto di vivere all’estero.

 

Haniyeh è stato ucciso la scorsa settimana a Teheran, aveva partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente iraniano Massoud Pezeshkian e durante la notte, mentre dormiva in un edificio in cui dimorano gli ospiti illustri dei pasdaran, è stato ucciso assieme alla sua guardia del corpo. Haniyeh viaggiava, faceva gli affari e Sinwar faceva la guerra: ora nelle sue mani ha tutto. E’ una rivoluzione dentro a Hamas, ma il leader del tunnel è sempre stato anche l’ideologo, colui che ha teorizzato  che la lotta contro Israele dovesse essere condotta fino alla fine.  Quando venne arrestato dagli isareliani  disse all’agente dello Shabak che lo interrogava: “Uccidimi, non ti dirò nulla, voglio essere uno shahid”, un martire. E’ questa la sua idea di lotta e quindi anche di negoziato. Al premio Pulitzer americano David Remnick, funzionari della sicurezza israeliani e americani hanno detto “di essere certi che Sinwar sia vivo e che sia ancora un fattore fondamentale nei negoziati”.

 

Il presidente americano Joe Biden in una recente conversazione telefonica con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e il ministro degli Esteri del Qatar Al Thani ha detto che i negoziati devono andare avanti a ogni costo, perché sono nelle fasi finali. I colloqui sono bloccati da settimane e l’uccisione di Haniyeh non ha cambiato la situazione di stallo. Non è una brutta notizia soltanto per Biden che voleva che l’accordo a Gaza fosse parte dell’eredità della sua Amministrazione, ma anche per l’Egitto e il Qatar che volevano affermare la loro capacità politica concludendo l’accordo. La nomina di Sinwar però mette Hamas anche più lontano dal Qatar, finora Doha era diventata la casa dei leader del gruppo all’estero, la vita di Haniyeh e di Khaled Meshal negli alberghi di lusso era leggendaria. Il Qatar è sempre stato il più grande finanziatore di Hamas, ma non era il solo: anche l’Iran negli ultimi anni ha contribuito a rafforzare le casse del gruppo di Gaza e Sinwar è  l’uomo che ha avvicinato la Striscia a Teheran.

 

Era Haniyeh quello che viaggiava e stringeva la mano alla guida suprema Ali Khamenei, era Saleh al Arouri – eliminato da Israele a gennaio – quello che coordinava i traffici tra l’Iran , il Libano (è stato ucciso a Beirut) e la Striscia, ma il progetto iraniano era nella mente di Sinwar e di Deif. 

 

 
Adesso il gruppo è un elemento ancora più fedele dell’“anello di fuoco”, il sistema che l’Iran ha escogitato per stringere Israele in una morsa di nemici, tutti coordinati tra loro. Se, al posto di Haniyeh, Hamas avesse nominato Meshal ci sarebbe stata una continuità nei rapporti con il Qatar, una consuetudine collaudata, spendibile anche per tenere aperto un canale negoziale. Sinwar con il Qatar dialoga meno, ha capito che è l’Iran l’alleato ideologico su cui fare affidamento. (m.fla)  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)