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Teheran teme l'alleanza di ferro tra America e Israele e sfoggia la visita di Shoigu

Micol Flammini

L'ex ministro della Difesa russo è arrivato in Iran per una visita che secondo Mosca era programmata da tempo, al suo fianco c'era il capo dell'agenzia che si occupa di esportare armi. La cooperazione tra iraniani e russi è piccola rispetto all'alleanza messa insieme dagli Stati Uniti per proteggere lo stato ebraico

Sergei Shoigu non è più il ministro della Difesa della Russia, è il segretario del Consiglio di sicurezza, un organo che spesso dai conoscitori delle etichette del sistema russo viene definito il rifugio degli epurati ai quali il Cremlino non vuole far fare brutta figura. Ieri Shoigu, che da quando non è più ministro si è tolto la divisa, è andato in Iran, nelle ore in cui la Repubblica islamica stava affinando i dettagli del suo attacco contro Israele. 

Shoigu non è più un peso massimo del putinismo, ma rappresenta ancora il sistema di alleanze di Vladimir Putin. L’ex ministro  non fa viaggi senza che il Cremlino lo sappia, soprattutto se istituzionali e in prossimità dell’attacco contro lo stato ebraico in cui Teheran ha promesso una sanguinosa vendetta per l’uccisione del capo di Hamas, Ismail Haniyeh sul suo territorio – la vendetta è più per la violazione del territorio che per Haniyeh – quindi Shoigu, seppur senza uniforme dell’esercito russo,  era a Teheran perché Mosca voleva dare una prova della sua vicinanza al regime iraniano. Dopo le prime immagini di Shoigu a Teheran, l’agenzia di stampa russa Ria Novosti si è però affrettata a comunicare che la visita era stata decisa già a maggio, durante una telefonata con Ali Akbar Akhmadian, capo del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran. In quell’occasione, Akhmadian, che conosce da tempo Shoigu, lo aveva invitato a organizzare una visita a Teheran.  

 

Anche se le cose fossero andate come dice Ria Novosti, è interessante che Mosca non abbia deciso di riprogrammare l’incontro, fornendo così all’Iran una prova estetica dell’alleanza del Cremlino, consacrata dalle frasi di Shoigu che accanto ad Akhmadian ha confermato la disponibilità russa a cooperare con l’Iran per le questioni “regionali”, quindi in medio oriente. Mosca non cerca nessuna equidistanza, anche nel caso in cui la visita fosse stata programmata in anticipo, il Cremlino non ha avuto problemi a  mostrare che l’asse delle sue alleanze è saldo e non è soltanto questione di continuare a ricevere i droni iraniani Shahed per fare guerra agli ucraini, ma è un progetto più vasto. Shoigu ha incontrato anche il capo di stato maggiore Mohammad Bagheri e il presidente appena insediato Masoud Pezeshkian. Si è seduto con alcuni dei personaggi più influenti  dell’establishment iraniano, senza curarsi dei rapporti con Israele, che sono cambiati da tempo e non è rimasta neppure la finzione: gli osservatori dei rapporti tra russi e iraniani hanno notato che la Russia un tempo avrebbe cercato di organizzare un incontro con gli israeliani subito dopo una visita a Teheran, ma ormai il Cremlino è uscito allo scoperto con  il suo  rapporto con la Repubblica islamica e il sedicente asse della resistenza che l’Iran ha messo insieme legando tutti i nemici di Israele. 

 

Secondo il canale israeliano Keshet 14, la Russia avrebbe mandato all’Iran munizioni e anche missili Iskander, alcuni aerei da trasporto Ilyushin sarebbero atterrati a Teheran la scorsa settimana, mentre sistemi avanzati di guerra elettronica per danneggiare i sistemi militari israeliani sarebbero stati già dispiegati. Al fianco di Shoigu a Teheran, c’era Aleksander Mikheyev, capo della Rosoboronexport, l’agenzia che si occupa di esportazione e importazione di armi. Uno dei compiti di Shoigu è quello di supervisionare la vendita delle armi di Mosca e con Mikheyev al suo fianco ci sono poche ragioni per escludere che la sua visita a Teheran non abbia riguardato lo scambio di tecnologie militari. Ma le foto e gli abbracci, Shoigu sui tappeti rossi, al fianco di uomini importanti della Repubblica islamica sono state anche delle cartoline che il regime di Teheran ha voluto mandare a Israele. 

 

Nelle stesse ore in cui l’ex ministro russo confabulava con gli iraniani, il capo del Centro di comando americano (Centcom), Michael Kurilla, era in Israele  con il ministro della Difesa dello stato ebraico Yoav Gallant a mettere a punto le strategie di sicurezza per proteggere le città israeliane. Prima di arrivare in Israele, Kurilla ha incontrato i leader di alcuni paesi arabi, ha tessuto  un’alleanza quanto più possibile simile a quella che la notte del 13 e 14 aprile aveva difeso Israele dall’attacco diretto dell’Iran. L’alleanza quella notte funzionò e ci sono molte possibilità che si sia ricostituita, ognuno per le sue ragioni, non tutti per dedizione o amicizia nei confronti dello stato ebraico, molti perché convinti che una guerra regionale di vasta portata sarebbe devastante e trascinerebbe giù tutto il medio oriente. L’Iran ha i suoi alleati, le sue milizie finanziate e addestrate che possono colpire dal Libano, dallo Yemen, dalla Siria e dall’Iraq, ma per il momento la cooperazione con la Russia in medio oriente è questione di armi, radar, obiettivi, nulla di simile allo sfoggio d’alleanza che gli Stati Uniti hanno scelto di assicurare a Israele. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)