L'opinione

Non è detto che in Bangladesh ci sia un lieto fine

Francesca Marino

L'ombra dell'estremismo islamico inizia a farsi vedere. Il premio Nobel Yunus ha accettato l'incarico di guidare il governo ad interim

Aumenta il bilancio di sangue delle rivolte in Bangladesh: gli ultimi morti, venticinque, nell'incendio di un albergo nel sud del paese in cui pare si fosse rifugiato uno dei nemici del governo. I dimostranti – dopo aver buttato giù e distrutto le statute del fondatore della patria Sheikh Mujibur Rahman, padre della ormai ex premier Sheikh Hasina, da cui aveva ereditato anche il partito Awami League – hanno espresso la loro sacrosanta protesta contro il governo saccheggiando la residenza della stessa Hasina, da cui avrebbero portato via cibarie e perfino biancheria intima, assaltando lo zoo locale e, soprattutto, dando alle fiamme templi e abitazioni di cittadini di fede induista. Perché gli studenti se la prendono con zebre e templi? Perché forse non si tratta più di studenti che chiedono democrazia e libertà.


 

Tra la folla, e alla guida degli assalti a cose e persone, ci sono poliziotti e membri dell'esercito. Si vedono bandiere della jihad internazionale, bandiere dei talebani e, soprattutto, bandiere e attivisti della Jamaat-i-Islami Bangladesh. Secondo l'analista pakistano Faran Jeffrey, vicedirettore dell'Islamic Theology of Counter Terrorism (Itct), think tank londinese: “E' uno degli istigatori e il principale beneficiario delle rivolte e del colpo di Stato. La Jamaat-e-Islami del Bangladesh è l'organizzazione sorella della Jamaat-e-Islami del Pakistan. Mentre la Jamaat in Pakistan ha perso il favore dell'establishment pakistano, la Jamaat in Bangladesh è, per usare un eufemismo, ancora estremamente vicina all'establishment pakistano”.


 

Secondo le analisi più articolate, dietro alle rivolte e all'ombra nemmeno tanto occulta del Pakistan e degli integralisti islamici ci sarebbe anche un certo favore di Washington. La relazione dell'America con il governo di Dacca si era deteriorata a giugno dello scorso anno, quando l'America aveva implementato una revisione della politica dei visti contro individui considerati “responsabili o complici di aver minato il processo elettorale democratico in Bangladesh”, aveva annunciato il segretario di stato americano Antony Blinken, e poi peggiorata lo scorso inverno, quando Hasina aveva negato l'installazione di una base militare nel paese. Washington aveva criticato il processo elettorale in Bangladesh (anche se allo stesso tempo certificava come 'free and fair' le elezioni pakistane).


 

Da decenni nell'area si gioca una partita fra jihadi utili contro jihadi cattivi, spesso in guerra fra loro. E ora la responsabilità della stabilità in Bangladesh ricade sull'India, unica democrazia dell'area geopolitica che mette l'interesse nazionale sempre al di sopra degli interessi internazionali. Nel frattempo, anche il Regno Unito ha negato la protezione a Hasina in nome delle leggi sui rifugiati: l'ex premier deve chiedere asilo in India, dove è atterrata ieri sera e dove però, per diverse ragioni sia di sicurezza personale che di sicurezza nazionale, potrebbe non poter rimanere.


 

Ieri Muhammad Yunus, il banchiere ed economista padre del microcredito e Premio Nobel per la Pace nel 2006, accusato in patria di un centinaio di reati di corruzione, ha accettato l'invito rivoltogli dagli studenti a mettersi a capo di un governo ad interim. Alla cui formazione presiedono per il momento i militari, e che è suscettibile di avere al suo interno gli integralisti islamici. Ieri è stata anche liberata la prima donna leader del Bangladesh, Khaleda Zia, prima alleata e poi acerrima nemica di Hasina, a lungo accusata di essere appoggiata da gruppi di estremisti islamici. I poveri studenti potrebbero essere costretti a rendersi conto presto che, in genere, alla Rivoluzione segue sempre il Terrore.

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