mar mediterraneo

Haftar e i russi ricordano a tutti che in Libia la tregua è un'illusione

Luca Gambardella

Le milizie del generale marciano verso Gadamesh, uno snodo nevralgico nel sud del paese dove sono presenti anche le truppe di Putin. Uno scontro armato coinvolgerebbe l’intero paese portandolo verso una nuova guerra civile

In Libia il cessate il fuoco che da quattro anni dà l’illusione  di tenere a bada le milizie dell’est e dell’ovest  è vicino al collasso. Da una settimana, colonne di uomini e mezzi militari di Khalifa Haftar, il leader della Cirenaica, si dirigono verso una cittadina del sud-ovest, Gadamesh. Si trova nel deserto che divide la Libia dalla Tunisia e dall’Algeria ed è uno snodo strategico. Da lì passa una delle vie di accesso verso  sud, che significa il Sahel – dove la Russia alleata di Haftar ha una presenza militare importante – e ospita un aeroporto operativo e attrezzato.  Il valico è chiuso per motivi di sicurezza ed è controllato dalle milizie fedeli al ministro dell’Interno del governo di Tripoli, Emad Trabelsi. L’ex comandante del gruppo armato di Zintan, diventato uno dei principali interlocutori dell’Italia nella gestione della sicurezza e dei flussi dei migranti, ha inviato a Gadamesh la 444esima Brigata, che è il fiore all’occhiello dei gruppi armati che obbediscono all’ovest. Il suo compito è di difendere la città dal 17esimo battaglione delle guardie di frontiera  di Haftar comandato da Osama Juweili, anche lui originario di Zintan, ma che ha tradito il governo di Tripoli per sostenere l’est. Juweili ha ordinato una “operazione globale” per “mettere al sicuro le frontiere del paese e la stabilità delle zone strategiche”.

La regia dell’operazione però è di Saddam Haftar, il figlio di Khalifa che è il dominus indiscusso delle forze armate dell’est. Gli uomini di Haftar sono sostenuti militarmente dalla Russia, che ha nel paese circa 2 mila uomini e che controlla due basi militari non troppo distanti dal quadrante di Gadamesh, quelle di Jufra e di Brak al Shati. Non è detto che le truppe dell’est riescano a conquistare la città, ma uno scontro armato finirebbe per allargarsi altrove, trasformando l’accordo per  il cessate il fuoco in carta straccia insieme e ogni fantomatica idea di riconciliazione del paese. Un’idea su cui però, fino a queste ore, continua a cullarsi l’occidente. La Commissione europea oggi si è detta “preoccupata” e ha invitato a riprendere il dialogo di unità nazionale. E sempre oggi il rappresentante della Nazioni Unite in Libia, l’americana Stephanie Khoury, ha  detto che “bisogna procedere verso le elezioni”.

Da tempo nessuno crede davvero a questo genere di annunci perché in Libia prevalgono logiche di potere fra clan con in ballo tantissimi soldi, quelli che vengono dal petrolio. Uno scontro armato coinvolgerebbe l’intero paese portandolo verso una nuova guerra civile e a quel punto la posizione del premier libico Abdulhamid Dabaiba, principale partner dell’Italia, sarebbe indebolita al punto da perdere qualsiasi influenza sulle milizie. Per il nostro paese significherebbe vedere materializzarsi lo scenario peggiore: il vuoto di potere nel paese che ci vede esposti politicamente ed economicamente più di qualsiasi altro fra quelli occidentali. E con forze alleate della Russia a qualche centinaia di miglia dalle nostre coste. 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.