prospettive

Il vantaggio di Tim Walz si vede a Pechino

Giulia Pompili

Tutti parlano dei suoi legami con la Cina, ma il suo mandarino può essere un asset

Sul governatore del Minnesota Tim Walz, candidato alla vicepresidenza americana dalla democratica Kamala Harris, la propaganda russo-cinese e quella dei trumpiani si sovrappongono, e quando succede non è quasi mai un buon segno. Da giorni si parla di lui, candidato a sorpresa dei dem e preferito a scelte più prevedibili ma potenzialmente divisive, come il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro.  Walz è allegro, è incisivo, parla come parla la gente (il suo weird, riferito a Trump e al suo diretto concorrente J. D. Vance è ormai nella storia), a fine luglio intervistato su Fox News ha messo l’agenda Putin e l’agenda Orbán più o meno allo stesso livello. Ma da giorni, propagandisti cinesi online e repubblicani trumpiani sottolineano soprattutto una cosa: Tim Walz conosce bene la Repubblica popolare cinese perché l’ha frequentata molto, arrivando nel 1989 come giovanissimo insegnante d’Inglese a Foshan, nel Guangdong. 


Martedì scorso il senatore repubblicano e trumpiano di ferro Tom Cotton ha scritto su X che Tim Walz “deve agli americani una spiegazione rispetto alla sua inusuale relazione con la Cina comunista che dura da 35 anni”. Richard Grenell, famoso per il suo triplo ruolo durante l’Amministrazione Trump (ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, inviato speciale per la Serbia e il Kosovo e nientemeno che direttore dell’intelligence nazionale, ma solo per tre mesi) è stato più duro: “La Cina comunista è molto felice. Nessuno è più favorevole alla Cina del marxista Walz”. Breitbart, il network di disinformazione dell’alt-right americana, ha scritto un articolo in cui si allude al fatto che Tim Walz e sua moglie Gwen si sono sposati il 4 giugno del 1994, esattamente cinque anni dopo il massacro di Piazza Tiananmen, come a “celebrare” la violenta repressione del Partito comunista cinese. In realtà, scriveva l’altro ieri il Washington Post, Walz “voleva avere una data che avrebbe ricordato per sempre”, citando la dichiarazione della moglie a un giornale del Nebraska all’epoca. Sui social e sui media cinesi, da giorni si parla dell’epoca in cui Walz e Gwen viaggiavano spesso nella Repubblica popolare, attraverso la loro Educational Travel Adventures, agenzia di viaggi per studenti.  Walz, che parla un po’ di mandarino, nel 2016 diceva di aver visitato il paese almeno una trentina di volte, e di non essere uno di quelli per i quali “la Cina debba essere per forza un’avversaria”. Da allora molte cose sono cambiate, e gli obiettivi della leadership del Partito comunista cinese sono più chiari, non solo: il fatto che le relazioni con Pechino siano a dir poco complicate, e delicate, in America è un concetto chiaro a livello bipartisan.  Non solo: Walz in realtà è sempre stato un attivista per i diritti umani, anche da membro del Congresso: è stato in Tibet nel 1990 e poi di nuovo nel 2015 con una delegazione di legislatori americani, e nel 2016 ha avuto un pranzo che gli “ha cambiato la vita” – secondo la sua descrizione – con il Dalai Lama.

 

Poi, più di recente, è stato fra i sostenitori dell’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, che ha imposto sanzioni contro funzionari cinesi e di Hong Kong per le violazioni dei diritti umani durante le proteste democratiche. I repubblicani, insomma, accusano Walz di essere troppo tenero con la Cina. I nazionalisti cinesi lo apprezzano perché “conosce la Cina” (la cosiddetta “comprensione reciproca” è uno dei cavalli di battaglia della leadership cinese). E forse sarà proprio questa la sua forza diplomatica. L’altro ieri gli analisti Mark Hannah e Rachel Rizzo hanno scritto su Foreign Policy che la presidenza Biden è stata costretta a reinventare la politica estera americana, con creatività: “Walz potrebbe aiutare Harris a reinvestire nella diplomazia e ad abbandonare il riflesso americano per l’interventismo militare salva-mondo”, in un rinnovato approccio diplomatico-creativo che serve, più che mai, soprattutto con la Cina. Ma nessuno può farlo senza un profilo come quello di Walz, non un falco anticinese, ma un pragmatico difensore della libertà: amico dei cinesi, meno del Partito comunista.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.