L'editoriale del direttore

Nella zizzania sollevata dall'internazionale del rancore sulle Olimpiadi c'è una trappola antioccidentale

Claudio Cerasa

Se la Russia prova a trasformare i Giochi nel beauty contest dell’occidente corrotto. Putinismo non, merci, anche sulla Senna

Ci avrete fatto caso anche voi, in questi giorni, e ci avrete fatto caso anche voi, in queste ore, che in alcune polemiche che hanno accompagnato i Giochi organizzati a Parigi, dalla Francia, c’è qualcosa che non torna, che stona, che non riguarda prettamente il contenuto ma che riguarda esclusivamente il contenitore. Ci avrete fatto caso anche voi, discutendo magari con i vostri amici della cerimonia inaugurale, del testosterone negli incontri di pugilato, della sporcizia della Senna, dei letti di cartone, dei vermi nel cibo, dell’aria condizionata carente, che nell’arsenale retorico delle critiche rivolte agli organizzatori delle Olimpiadi c’è uno sovrappiù ideologico che non ha a che fare con il merito delle diatribe ma ha a che fare con ciò che i Giochi rappresentano. E ha a che fare, in particolare, con quell’internazionale del rancore che ha scelto di usare ogni problema maturato in queste Olimpiadi per rafforzare l’idea che l’occidente sia in crisi, per affermare il principio che il mondo libero sia dominato dal wokismo e per provare a dimostrare che tutto ciò che oggi incarna la Francia di Macron, che non è solo difesa della grandeur ma è anche difesa della globalizzazione, difesa della società aperta, difesa dell’Europa, difesa dal protezionismo, difesa dal putinismo, difesa dal trumpismo, è arrivato semplicemente alla frutta.

In questo senso, il sovrappiù ideologico che si indovina dietro le molte critiche che stanno ricevendo le Olimpiadi non riguarda il merito, perché se riguardasse il merito occorrerebbe dire che la contestata “Ultima cena” con drag queen della cerimonia d’apertura non c’entrava nulla con l’“Ultima cena”, che le polemiche sull’essere transessuali nello sport non c’entrano nulla con le polemiche sull’essere intersex della pugile algerina, che i casi degli atleti che si sono ammalati dopo aver nuotato nella Senna non sono tutti confermati  (anche se i casi iniziano a essere molti, e i sospetti sono più che legittimi: ah, la grandeur), che la famosa nottata passata a dormire all’aperto dall’italiano Ceccon era in realtà un pisolino pomeridiano e che i famosi letti di cartone erano già presenti alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e saranno presenti anche alle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina del 2026, dove la giapponese Airweave, che quei lettini li ha creati, è uno dei partner ufficiali. Occorrerebbe dire tutto questo, se le polemiche olimpiche riguardassero il merito, ma tutto questo non viene ricordato dai professionisti della zizzania, o meglio dagli ingegneri del caos, perché ciò che conta nelle polemiche contro le Olimpiadi è far entrare i Giochi nella stessa dimensione in cui stanno cercando di farli entrare da mesi i follower dell’agenda della zizzania, che fa rima e non solo con l’agenda putiniana. Una dimensione chiara, farlocca, evidente: i Giochi sono il simbolo di un occidente impotente, ridicolo, corrotto nell’animo, e il macronismo, di riflesso, è il simbolo estremo dell’occidente da combattere, da denigrare, da colpire, con tutti i mezzi a disposizione.

Non tutti coloro che criticano le Olimpiadi sono sospettabili di essere putiniani, naturalmente, lo abbiamo fatto e continueremo a farlo anche noi, of course, ma tutti coloro che si divertono a mettere in luce ogni giorno i piccoli e grandi difetti, e le pacchianerie, e anche le cialtronate, di queste Olimpiadi, che hanno iniziato a essere spettacolari nel momento stesso in cui la Francia e Parigi sono diventate lo sfondo delle imprese degli atleti, e non il contrario, dovrebbero imparare a riconoscere quand’è che la critica di merito diventa strumentale, quand’è che la critica su una pacchianeria diventa critica al sistema, quand’è che l’internazionale del rancore con la scusa delle Olimpiadi prova a trasformare lo spettacolo più bello del mondo in quello che non è: il beauty contest di come si è corrotto il cosiddetto mondo libero. Da questo punto di vista, le Olimpiadi di Parigi sono anche la palestra di una formidabile battaglia culturale, dove la Russia, esclusa dai Giochi, ops, e che per la prima volta in quarant’anni non manda in tv le Olimpiadi, ari-ops, soffia sul fuoco delle contraddizioni delle società aperte, come un troll, e dove coloro che amano le società aperte dovrebbero evitare di cadere nella trappola del rancore antioccidentale, che spesso fa perdere di vista la semplice e lineare verità: che il mondo libero con i suoi difetti è ancora l’unico vaccino possibile per provare ad arginare, anche con i suoi errori, la brutalità dei regimi sanguinari. E il fatto che la Russia, esclusa da queste Olimpiadi, consideri i Giochi di Parigi come le “Olimpiadi di Satana” dovrebbe farci ricordare che differenza c’è tra criticare legittimamente dei Giochi in cui a volte il politicamente corretto fa a pugni con la realtà e assecondare l’agenda dell’internazionale del rancore, che detesta le Olimpiadi di Francia non per quello che sono ma per quello che rappresentano. Putinismo non, merci, anche sulla Senna.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.