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In Austria

Come funziona la sicurezza austriaca che ha cancellato i concerti di Taylor Swift

Daniel Mosseri

Tre arrestati in Austria per aver pianificato un attentato durante una delle date del concerto della cantautrice americana: due di loro hanno 17 e 19 anni. Cosa c'è dietro alla sicurezza che ha evitato una strage come quella durante il concerto di Ariana Grande nel 2017

Berlino. Tre concerti cancellati per un danno da 100 milioni di euro e la disperazione di 180 mila fan. Le date – giovedì, venerdì e oggi – di Taylor Swift a Vienna sono andate in fumo con il dispiacere di tutti. Ma poteva finire peggio come finì, con 23 morti e 250 feriti, il concerto di Ariana Grande a Manchester nel maggio del 2017. Per l’attacco suicida alla Manchester Arena fu considerato responsabile un 22enne di origine libica nato nella città dei Joy Division, degli Oasis, dei Simple Minds, degli Smitihs e dei Simply Red tanto per restare in ambito musicale. A Vienna, decisamente meno pop della città inglese, le indagini sono in corso. Ieri, con il sospetto di essere il terzo attentatore suicida (mancato) dei concerti di Taylor Swfit, è stata fermata una terza persona, che si aggiunge al 17enne e al 19enne arrestati mercoledì scorso, uno a Ternitz, in Bassa Austria, l’altro a Vienna, con l’accusa di aver ordito una strage di giovani adoratori della cantautrice della Pennsylvania.
 

Complice il bel tempo, i fan si sono coccolati un po’ a vicenda inscenando feste di piazza per sostituire il  mastodontico Eras Tour della loro inarrivabile musa, i cui brani sono stati riprodotti 26 miliardi di volte su Spotify solo nel 2023. Taylor Swift da parte sua ha evitato di essere associata a un fatto di sangue. Ora resta tutto nelle mani degli investigatori che cercano di capire come tre giovanissimi sedicenti adepti dello Stato islamico abbiano pensato di seminare la morte facendosi esplodere in mezzo a un mare di coetanei. Il pensiero corre subito agli attentati di Vienna del novembre del 2020 quando un 20enne con doppia nazionalità austriaca e macedone, di etnia albanese, aprì il fuoco nel centro cittadino uccidendo quattro persone prima di essere abbattuto dalla polizia. Oppure all’allarme lanciato dal capo dell’antiterrorismo in Austria, Omar Haijawi-Pirchner, nel giugno del 2023 quando tre giovanissimi (di 14, 17 e 20 anni) vennero fermati con l’accusa di aver pianificato un attentato al gay pride viennese. Anche loro europei, anche loro radicalizzati con tanto di giuramento all’Isis. Lo spavento di queste ore ha colpito anche la ministra degli Interni della Germania, Nancy Faeser, secondo cui “le indagini a Vienna mostrano quanto seriamente debba essere presa la minaccia del terrorismo islamista in Europa. Il livello di minaccia del terrorismo islamista rimane alto anche in Germania”.
 

E in Austria? Esiste un problema specifico di minaccia jihadista? Non la vede così Martin Engelberg, deputato del Partito popolare austriaco (Övp) dal 2017: “Noi siamo parte di un fenomeno più ampio, comune all’Europa”. L’Austria, spiega Engelberg  al Foglio, ha una consistente comunità musulmana, “circa l’8 per cento  della popolazione”. Attorno a questa orbitano delle organizzazioni estremiste ma a Vienna e dintorni non succede nulla di peggio di quanto succeda per esempio “in Belgio, in Francia o in Gran Bretagna”. Semmai, osserva ancora Engelberg, è stato il nome di Taylor Swift a fare da cassa di risonanza ai  tre arresti “dei quali altrimenti nessuno avrebbe parlato”. Certo, ammette, il problema esiste e non è necessariamente legato alla comunità turca d’Austria, che è diffusamente laica, “tanto più che, come sembra, uno degli arrestati ha radici in Macedonia”. Le infiltrazioni, insomma, non mancano ma non sono per forza legate a comunità lontane. Senza dimenticare, riprende il deputato, che le autorità austriache tengono a briglia stretta il radicalismo islamico, che gli imam attivi nel paese sono registrati e controllati e che, insomma, “qua siamo forse anche più rigidi che in altri paesi”. Rigidi ma anche poco ideologici, ci tiene a sottolineare: “Il nostro paese ha preso una buona china dopo il 7 ottobre”, senza manifestazioni pro estremisti e con una diffusa tolleranza per i gesti di solidarietà verso Israele. “Siamo stati all’avanguardia, con la bandiera d’Israele issata sul palazzo del Parlamento. E nessuno ha protestato”.

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