medio oriente

Come si sblocca l'accordo tra Israele e Hamas

Micol Flammini

L'incontro a Ferragosto, una diplomazia spazientita ma pronta a lavorare intensamente, la deterrenza dello stato ebraico, Sinwar che non molla ma ha bisogno di una pausa e il piano B di Teheran

Nella città libanese di Sidone, un’automobile è stata colpita da un drone, al suo interno c’erano due funzionari di Hamas stabilitisi in Libano per coordinare le operazioni con il gruppo sciita Hezbollah. In questi giorni, i droni di Israele hanno cercato e colpito funzionari di Hezbollah in Libano e uomini di Hamas dentro alla Striscia di Gaza. Israele non ha ammesso di esser responsabile, ma tutte le morti sono state denunciate mentre in sottofondo si muovono le minacce di un attacco contro lo stato ebraico da parte di Teheran e da parte del gruppo libanese che la Repubblica islamica ha cresciuto e finanziato. Oltre alle minacce, si muove anche la diplomazia interna ed esterna per evitare che l’attacco promesso contro le città israeliane si trasformi in una guerra più grande. Giovedì sera il presidente americano Joe Biden, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani hanno deciso di rilasciare un comunicato tutti insieme per dire che è il momento che Israele e Hamas stringano un accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. I tre hanno aggiunto di essere pronti a delineare una nuova proposta che si avvicini alle posizioni dei due.  Poche ore prima del comunicato, che era un modo per dire che la pazienza negoziale è ai limiti, il nuovo capo di  Hamas, Yahya Sinwar, avrebbe aperto a un cessate il fuoco temporaneo, incaricando il suo fidatissimo collaboratore Khalil al Hayya di gestire i rapporti con il Qatar. In Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha accettato che la squadra negoziale israeliana prenda parte ai colloqui che si terranno il 15 agosto. Nel frattempo in Iran, secondo alcuni rapporti, il presidente appena insediato Masoud Pezeshkian sarebbe impegnato in una campagna di pressione sulla Guida suprema Ali Khamenei e sui pasdaran per convincerli a evitare un attacco diretto contro il territorio dello stato ebraico. Secondo gli Stati Uniti, l’accordo per concludere la guerra nella Striscia di Gaza, dove vanno avanti le operazioni di Tsahal e le evacuazioni in massa dei civili palestinesi, è l’unico modo per evitare che la guerra diventi un affare enorme, ingovernabile, ancora più doloroso. Gli iraniani sono andati molto oltre, hanno detto di volere il sangue degli israeliani. Hezbollah ha affermato di essere pronto a colpire come non ha mai fatto prima – ha già colpito molto forte – e Israele ha risposto che la sua ritorsione sarebbe “sproporzionata” . Diplomazia e deterrenza vanno di pari passo, ma se la strada per l’accordo si dovesse sbloccare sarà per la nuova posizione di Sinwar che crede di poter rianimare Hamas mettendo in salvo i suoi uomini dalla caccia sempre più capillare e soprattutto informata degli israeliani. Un accordo salverebbe anche la faccia dell’Iran, con cui Sinwar ha un rapporto privilegiato, che per la fine della guerra a Gaza sarebbe disposto a fermare la sua ira. La prima richiesta  di Hamas è già arrivata: il gruppo vorrebbe libero Marwan Barghouti, leader accanito della Seconda intifada, e sarebbe pronto ad accettarlo a capo della Cisgiordania e della Striscia. Il prezzo continua a essere alto, ma negoziabile. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)