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l'analisi

L'Italia e la guerra ucraina in Russia: un'azione legittima che non riguarda la nostra Costituzione

Giovanni Boggero

E' stata una reazione necessaria e proporzionata? Si può discutere. Ma l'attacco a Kursk non è avvenuto con armi italiane. E se anche fosse, questo non rende giuridicamente il nostro paese co-belligerante

L’intervista rilasciata al Fatto quotidiano da Michele Ainis a proposito della penetrazione delle truppe ucraine nell’oblast russo di Kursk tocca una serie di questioni tra loro molto diverse. Dal ruolo della Nato al suo rapporto con l’Ue fino alla natura degli aiuti militari a Kyiv. Si tratta di temi già abbondantemente esaminati, dai media e dalla letteratura, in questi due anni e mezzo di guerra. L’unico elemento realmente nuovo che si trae dalla cronaca di questi giorni e che vale la pena discutere ha a che fare con la qualificazione giuridica dell’operazione scattata il 5 agosto in territorio russo.

Fino ad ora, infatti, i combattimenti tra Russia e Ucraina si sono svolti o su territorio ucraino o su territorio ucraino illegalmente occupato dalla Russia. Frequenti sono, però, stati anche gli attacchi sferrati – prevalentemente con droni – dal territorio ucraino contro quello russo per colpire basi militari o altre infrastrutture. Al riguardo, è noto anche alla cerchia dei costituzionalisti, alla quale, pur da meno tempo di Ainis, anche io mi pregio di appartenere, che l’esercizio del diritto alla legittima difesa ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite da parte di uno stato non deve necessariamente arrestarsi entro i propri confini territoriali, se ciò è necessario a raggiungere lo scopo di far cessare l’uso vietato della forza da parte di altro stato e se tale esercizio è proporzionato rispetto alla lesione subita.

Che cosa è cambiato, allora, negli ultimi giorni? Che le Forze armate ucraine non si sono limitate a colpire in territorio russo, ma ne hanno anche occupato una porzione. Il punto di partenza è anche qui, non diversamente dagli altri casi, l’esercizio della legittima difesa. Lo stato di cose non è improvvisamente cambiato. La Russia non ha cessato l’attacco armato di cui parla l’art. 51, non si è ritirata dai territori occupati e l’Ucraina non ha, quindi, invaso la Russia. Si tratta semplicemente di un nuovo atto attraverso il quale l’Ucraina esercita la propria legittima difesa. Resta, semmai, da chiarire se si tratti anche di atto necessario e proporzionato. Quanto alla necessità è difficile poterlo dire. Stando ai report ISW, il fronte nord, nei pressi dell’oblast ucraino di Sumy, non è più incandescente come lo è stato nella primavera del 2022 – non si era quindi nell’imminenza di un attacco di terra russo – quando quella regione è stata parzialmente occupata dalle truppe russe. Vero è, però, anche che su Sumy continuano a piovere missili. Una penetrazione nel territorio di Kursk che non si limiti a un attacco mirato o a una rapida incursione potrebbe, quindi, definirsi necessaria, ma sproporzionata. Una valutazione quest’ultima che, comunque, mi sentirei di lasciare a uno studioso di diritto dei conflitti armati. 

Che cosa c’entri tutto questo con la Costituzione italiana, invece, è davvero un mistero. Allo stato attuale, salvo che il Fatto quotidiano sia così generoso dal voler offrire prova contraria, l’attacco non è avvenuto con armi trasferite dall’Italia. Se anche fosse, che l’Italia abbia sostenuto l’Ucraina con aiuti militari non rende giuridicamente il nostro paese – come pure Ainis sostiene – co-belligerante, ma nell’esercizio di quella che viene attualmente chiamata “neutralità qualificata”. Si tratta di un atteggiamento che coinvolge la Repubblica a un livello molto basso, non trattandosi di uno degli interventi ritenuti (da una dottrina autorevole, ma minoritaria) di dubbia compatibilità con l’art. 11 Cost., ossia quelli ex art. 5 Patto Atlantico e quelli di esercizio di legittima difesa collettiva deliberati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E quindi? Quindi, se armi italiane sono state usate, si pone semmai il problema del rispetto di un vincolo politico (e non giuridico) da parte ucraina di un utilizzo conforme alle istruzioni ricevute. E sul punto il ministro Crosetto mi pare abbia già detto la sua.

Giovanni Boggero, Università degli Studi di Torino

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