negoziati

Gli Stati Uniti preparano l'accordo salvafaccia per Teheran

Micol Flammini

L'Iran cambia idea ogni giorno, i diplomatici americani sono in giro per il medio oriente, c'è soltanto un modo per evitare l'attacco contro Israele: la liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza

L’Iran cambia idea ogni giorno, gli Stati Uniti hanno capito che la chiave per fermare l’attacco contro lo stato ebraico sta tutta nell’indecisione della Repubblica islamica, che ha predisposto i lanciamissili, ha programmato i droni, si è coordinata con le sue milizie in giro per il medio oriente, ma sono tredici giorni che prosegue con  minacce e ripensamenti. Gli Stati Uniti hanno anche capito che per fermare l’attacco bisogna offrire all’Iran  una via di fuga che consenta alla Repubblica islamica di non perdere la sua reputazione in medio oriente dopo aver promesso una rappresaglia senza precedenti per l’omicidio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran in un edificio gestito dai pasdaran. L’attacco promesso dall’Iran, Hezbollah e dalle altre milizie fa paura perché gli errori possono sempre capitare, anche nel paese meglio protetto del mondo: Israele è in grado di difendersi, i suoi cittadini sono educati a mettersi al riparo durante gli attacchi, una coalizione di vari paesi è pronta ad abbattere i missili e i droni di Teheran. Nel caso di vittime civili però  nulla fermerebbe la reazione di Israele: lo stato ebraico l’ha promessa, la porterà a termine. L’elisir proposto dagli Stati Uniti per evitare l’attacco, salvare la faccia dell’Iran e preservare gli israeliani si chiama accordo e passa per  Gaza. A fine maggio, il presidente americano Joe Biden aveva presentato una proposta per la liberazione degli ostaggi israeliani che da oltre trecento giorni sono prigionieri di Hamas e per il cessate il fuoco nella Striscia. Israele aveva accettato le condizioni, Hamas le aveva rifiutate. 


Raggiungere l’accordo è un obiettivo importante per l’Amministrazione Biden, ma da quando l’Iran promette grandi vendette ha assunto una nuova dimensione, anche perché Hamas, con Yahya Sinwar a capo anche di quello che viene chiamato ufficio politico, per la prima volta ha detto di essere disposto a negoziare in tempi brevi  e nonostante abbia poi fatto sapere di non voler mandare una sua delegazione il 15 agosto a Doha, dove si incontreranno i mediatori, le sue ritrattazioni sono state lette come irrilevanti: un gioco, un modo per creare tensione, per aggiungere peso alla guerra di nervi che l’Iran sta giocando con Israele. 
Sinwar comunica  con una rete complessa di spostamenti, riesce addirittura a fare telefonate, scrive molto, ma non andrà mai a Doha: il suo nascondiglio rimane sicuro, l’esercito israeliano è stato più volte sul punto di prenderlo, lui è riuscito sempre a sfuggire ma sa che gli altri leader come lui, da Mohammed Deif a Ismail Haniyeh, sono stati eliminati, quindi la caccia dello stato ebraico è da prendere sul serio. Secondo l’agenzia Reuters, a Doha potrebbe invece esserci un ospite inaspettato: l’Iran vuole mandare un suo rappresentante pronto a suggellare l’accordo. Secondo le fonti dell’agenzia, che non rappresentano la linea ufficiale di Teheran, l’Iran sta cercando di collegare l’attacco promesso al successo o all’insuccesso dei negoziati: se l’accordo si farà, potrà reclamare per sé l’esito favorevole di una mediazione in cui non è mai stato coinvolto; se non si farà si potrà ergere a difensore della lotta di Hamas, portandosi dietro anche la reazione delle sue milizie libanesi, siriane, irachene, yemenite. Domani, il segretario di stato americano, Antony Blinken, sarebbe dovuto arrivare in medio oriente,  ma ha deciso di rimandare il viaggio perché la situazione è ancora molto incerta. Altri emissari degli Stati Uniti si stanno spostando tra il Libano, Israele, l’Egitto e il Qatar: hanno letto nella mente di Teheran. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)