medio oriente

La formazione di Teheran contro Israele

Micol Flammini

Gli Stati Uniti spingono ancora per un accordo tra Israele e Hamas, ma ormai c'è una consapevolezza: questa volta il sabotaggio dei colloqui porterà la firma dell'attacco dell'Iran contro lo stato ebraico. Rischi, norme di sicurezza, diplomazia

Il giorno dell’attacco si può prevedere, l’ora esatta si conosce di rado e anche quando le informazioni di intelligence sono talmente buone da definire un orario esatto, le sorprese ci sono sempre: come nel 1973, quando Israele era stato avvisato dalla più ambita delle spie – il genero dell’ex presidente egiziano Nasser – che l’Egitto avrebbe attaccato assieme ai siriani alle sei di sera, quando gli israeliani avrebbero avuto il sole negli occhi, e invece l’offensiva partì quattro ore prima. Tisha B’av, il giorno del lutto ebraico, è cominciato ieri sera e l’intelligence ha osservato le mosse dell’Iran, gli spostamenti, i preparativi, gli israeliani conoscono la procedura di sicurezza, sanno che le disposizioni non cambiano fino all’ultimo momento, conoscono il copione di ogni attacco: le informazioni precise arrivano all’ultimo momento, precedute da qualche dettaglio, prima da un allarme generale per tutto il paese, poi da un elenco preciso di posti più a rischio. Nei rifugi tutto è pronto da giorni, le difese degli alleati si stanno accumulando. Israele non combatte da solo contro l’Iran e uno dei canali telegram che si proclamano vicini al sedicente asse della resistenza – l’alleanza creata dall’Iran per far guerra allo stato ebraico – ieri pubblicava l’immagine di un campo da calcio, con la bandiera israeliana in porta, e in attacco l’Iran, il Libano, lo Yemen, la Siria e l’Iraq, in difesa un numero consistente di paesi e altrettante bandiere: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Grecia, Cipro, Giordania, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati. Per Teheran e i suoi gruppi armati è importante mostrare come sia una battaglia di pochi resistenti contro molti disposti a difendere l’“entità sionista”, ma se l’attacco avrà il potere di sabotare i negoziati per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi che sono prigionieri di Hamas la responsabilità sarà soltanto della Repubblica islamica. In un comunicato congiunto, indirizzato all’Iran (in cui si nota la mancanza dell’Italia) Regno Unito, Francia e Germania hanno fatto sapere a Teheran che la fine di ogni trattativa e mediazione sarebbe imputata direttamente alla Repubblica islamica che con il suo attacco  ha voluto “mettere a repentaglio questa possibilità di pace e stabilità”. 

 


La scorsa settimana, gli Stati Uniti assieme all’Egitto e al Qatar erano riusciti a ravvivare i colloqui tra Israele e Hamas: lo stato ebraico, superando le resistenza del primo ministro Benjamin Netanyahu che non vuole cedere sulla questione dei valichi, aveva accettato di incontrare le delegazioni dei mediatori il 15 agosto, a Doha o al Cairo. Hamas aveva fatto trapelare che il nuovo capo Yahya Sinwar era aperto a una tregua rapida. Sabato, Israele ha colpito l’edificio di una scuola nella Striscia, ha rivelato l’identità di trentuno terroristi che si trovavano all’interno, Hamas ha fatto sapere di volersi sfilare dai colloqui e come risposta ha ottenuto l’avvertimento dell’esercito che più si rifiuterà di negoziare, più i suoi uomini continueranno a essere eliminati. Questa volta però l’ostacolo al negoziato non viene da Gaza o da Israele, ma dall’attacco di Teheran e delle sue milizie sciite in Libano, in Yemen, in Siria e in Iraq, dal tempo che hanno impiegato per prendere una decisione, dai danni imprevisti che potrebbero mettere sottosopra tutto il medio oriente e bloccare l’appuntamento del 15 agosto, in cui gli Stati Uniti sono pronti a portare una nuova proposta di accordo, l’ultima possibile, quella che deve avvicinare tutti. 


Tisha B’av è un giorno di lutto, si digiuna, si ricordano molte delle tragedie avvenute per casualità o volontà, tutte il giorno 9 del  mese di Av. Fino a ieri se ne ricordavano otto. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)