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L'editoriale del direttore

Novecento giorni di resistenza di Kyiv per noi

Claudio Cerasa

La Russia ha invaso l'Ucraina pensando di colpire le democrazie indebolite. Novecento giorni dopo la Nato è più grande e più forte, i filoputiniani contano meno, l'Unione europea corre. È la libertà

Sono passati novecento giorni e c’è ancora qualcuno che non vuole capire. Sono passati novecento giorni e c’è ancora qualcuno che finge di non vedere. Sono passati novecento giorni e c’è ancora qualcuno che continua a non comprendere cosa significa la resistenza eroica che il popolo ucraino ha frapposto tra il regime putiniano e la nostra libertà. Sono passati novecento giorni, novecento giorni di assedi, di battaglie, di violenze, di allerte, di bombe, di missili, di droni, di orrori, di crimini di guerra portati avanti dal terrorismo putiniano, e novecento giorni dopo più che continuare a chiedersi se l’Ucraina abbia davvero il dovere di difendersi, se l’Ucraina abbia davvero bisogno del nostro aiuto, se l’Ucraina abbia davvero la necessità di utilizzare le nostre armi come meglio crede, più che continuare a misurare con il bilancino cosa stiamo facendo noi per aiutare un paese aggredito, avremmo bisogno, noi tutti, di fare un salto in avanti, di compiere un passaggio logico e di chiederci non solo cosa stiamo facendo noi per loro ma cosa stanno facendo loro per noi.
 

Sono passati novecento giorni dalla notte in cui Vladimir Putin, otto anni dopo aver annesso la Crimea alla Russia, ha provato a conquistare in poche ore Kyiv e novecento giorni dopo può essere utile provare a mettere insieme tutto ciò che l’Ucraina ha fatto per la nostra libertà. Sergio Mattarella, nel suo fenomenale discorso del Ventaglio pronunciato lo scorso 24 luglio, ha utilizzato non a caso un’espressione forte, e per certi versi provocatoria, per provare a spiegare quali sono stati gli effetti positivi generati dalla resistenza dell’Ucraina. “Alla Nato  – ha detto il capo dello stato – la Federazione russa ha regalato un rilancio imprevedibile di ruolo e di protagonismo. Chi non ricorda le parole di più di uno, tra capi di stato e di governo della Nato che, appena tre anni fa, la definivano in stato di accantonamento, per usare un termine davvero riduttivo rispetto alle espressioni adoperate?”. La nuova centralità della Nato, tre anni dopo l’invasione dell’Ucraina, è evidente: ci sono nuovi paesi che hanno scelto di aderire all’Alleanza atlantica (Svezia e Finlandia), ce n’è un altro che ha tutta l’intenzione di accelerare il suo percorso verso la Nato (la stessa Ucraina) e c’è una traiettoria dell’Alleanza atlantica irreversibile che ha spinto i paesi membri ad aumentare le spese nella difesa per provare a essere all’altezza delle sfide poste dai nuovi assi del male che imperversano nel mondo (tra i primi 40 paesi al mondo per spesa militare in valori assoluti ci sono 17 dei 26 paesi che fanno parte della Nato).
 

Novecento giorni fa la Russia ha invaso l’Ucraina pensando di dividere l’opinione pubblica internazionale, pensando di affondare come una lama nel burro nel corpo delle democrazie liberali. Novecento giorni dopo, nonostante il tentativo di alcuni cavalli di troia del putinismo di fare il gioco del terrorismo russo, il risultato è questo. L’Unione europea ha approvato, all’unanimità, 14 pacchetti di sanzioni. Ha portato la dipendenza dal gas russo dal 40 per cento del 2021 all’8 per cento del 2023. Ha fatto andare in perdita per la prima volta in 25 anni di storia la società dell’energia controllata dallo stato russo, ovvero Gazprom, che ha chiuso il 2023 con un rosso da sei miliardi e mezzo di euro. Ha spinto ad avvicinarsi nuovamente all’Europa, sui temi della difesa, paesi che nel tempo hanno cercato di allontanarsi dall’Europa, come la Gran Bretagna, e paesi che nell’Ue non sono mai entrati, come la Norvegia. Ha spinto paesi storicamente neutrali, e intrinsecamente pacifisti, come la Germania e come l’Italia, e in una certa misura anche la Svizzera, a scegliere da che parte stare e ad aiutare con tutti i mezzi possibili l’Ucraina a difendere se stessa. Ha spinto paesi ambigui, come la Turchia, membro della Nato, ad avvicinarsi all’Europa, e alla difesa dell’Ucraina, offrendo droni a Kyiv per difendersi da Mosca.
 

L’Europa, in novecento giorni, è riuscita a fare tutto questo, è riuscita a mostrare forza quando i suoi nemici speravano di ferirla sfruttando la sua debolezza. È riuscita a mettere in disparte i filo putiniani anche nei governi in cui avrebbero potuto giocare un ruolo da protagonisti ed è riuscita a dimostrare, grazie a una crescita notevole, un’inflazione al ribasso, un’occupazione in risalita, che la difesa della democrazia, anche con le armi, non è incompatibile con la difesa del nostro benessere, e che le sanzioni che avrebbero dovuto far male all’Europa non hanno ostacolato la crescita economica del nostro continente, esportazioni comprese. La difesa dell’Ucraina doveva mostrare i nostri difetti, i nostri vizi, ma ha contribuito a esaltare i nostri pregi, le nostre virtù, i nostri punti di forza, e ci ha spinti a ricordare che l’unico modo per essere pacifisti, di fronte a un regime sanguinario, non è alzare la bandiera bianca ma aiutare a difendersi chi viene aggredito (ieri un deputato del Pd, Arturo Scotto, parlando temiamo a nome del Pd e non di sé stesso, in puro stile salviniano  ha detto che le armi inviate all’Ucraina non possono essere usate a scopo offensivo: gli suggeriamo di rileggere quanto ha detto il 25 aprile del 2022 Sergio Mattarella, quando, paragonando la difesa dell’Ucraina alla nostra Resistenza, creando una simmetria tra l’uso delle armi contro i nazifascisti e l’uso delle armi contro l’esercito putiniano, ha ricordato che la Costituzione italiana “consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”).
 

Novecento giorni dopo, l’occidente libero ha fatto molto per l’Ucraina, per rafforzarla, per permetterle di resistere, di avanzare, di guardare al futuro con ottimismo. Ma novecento giorni dopo forse si può cominciare a pensare a cosa ha fatto l’Ucraina per noi e cosa ha fatto l’Ucraina per ricordarci cosa vuol dire scegliere da che parte stare anche quando in ballo c’è un valore non negoziabile che si chiama libertà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.