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Trattativa Maduro

Un'amnistia per la fine del regime. I colloqui "segreti" tra Stati Uniti e Venezuela

Maurizio Stefanini

Tutti gli sforzi diplomatici (e di intelligence) per far finire l'epoca Maduro. Ora a muoversi sono anche Brasile, Messico e Colombia, mentre nel paese l'opposizione continua a organizzare manifestazioni alle quali il governo risponde con sempre più repressione

Il Wall Street Journal ha confermato la notizia secondo cui il governo degli Stati Uniti, nel quadro di conversazioni segrete, avrebbe detto di essere disposto a concedere un’ampia amnistia sia a Maduro che al suo entourage nel caso in cui cedesse il potere in Venezuela. Nel 2020, il dipartimento alla Giustizia di Washington ha offerto una ricompensa di 15 milioni di dollari per informazioni che portassero all’arresto di Maduro, accusato di “inondare” gli Stati Uniti di cocaina alla testa del Cartello dei Soli – un’organizzazione dedita al traffico di droga composta da funzionari e militari venezuelani. Washington ha offerto ricompense fino a 10 milioni di dollari anche per informazioni relative a Diosdado Cabello, numero due del regime chavista, e Tareck El Aissami, ex ministro dell’Industria e della Produzione nazionale, che dopo essere caduto in disgrazia è attualmente detenuto in Venezuela, incriminato per avere depredato la società petrolifera di stato Pdvsa. Le accuse del 2020 sono rivolte anche a Maikel Moreno, ex presidente della Corte suprema, e a Vladimir Padrino López, ministro della Difesa. Tuttavia, per loro non è prevista alcuna ricompensa.
 


Secondo il Washington Post, gli Stati Uniti appoggiano il tentativo dei tre governi di sinistra di Brasile, Messico e Colombia di trovare una soluzione alla crisi, mentre sabato il ministro degli Esteri della Colombia Luis Gilberto Murillo ha dichiarato che un incontro virtuale tra Nicolás Maduro, Gustavo Petro, Lula da Silva e Andrés Manuel López Obrador potrebbe svolgersi in settimana. La stessa leader dell’opposizione María Corina Machado è tornata a offrire a Maduro “garanzie, salvacondotto e incentivi” in caso di negoziato: “Sarà un processo complesso e delicato, in cui uniremo l’intera nazione”, ha detto. Ricordando però che “l’unica cosa rimasta a Maduro” è il sostegno dell’alto comando militare, e convocando un’altra grande manifestazione, che si terrà non solo nelle città del Venezuela ma in varie parti del mondo, sabato 17 ottobre.
 

In tutto ciò il regime di Maduro risponde aumentando la repressione. Il governo italiano ha diffuso una nota  sul crescente numero di venezuelani con doppia cittadinanza che vengono arrestati ormai senza più alcun mandato, è stata presentata una denuncia alla Corte penale internazionale (Cpi) per le croci che sono state apposte sulle case di oppositori  nel quartiere popolare da cui è iniziata la protesta dopo essere stata una roccaforte del chavismo – e molti venezuelani che si preparano a scappare chiedono alla Spagna di accelerare i permessi di soggiorno per lavoro. La Cpi sta monitorando  le denunce e ha messo in guardia Maduro sui suoi crimini: il procuratore capo Karim Khan ha affermato di aver contattato la dittatura “al più alto livello” per chiedere il rispetto dello stato di diritto dopo la frode elettorale e la protezione di tutte le persone dai crimini contro i diritti umani.
 

Tuttavia diversi governi stiano mantenendo  aperti canali diretti con le autorità chaviste per negoziare possibili alternative e trovare una soluzione alla crisi. Alcuni di questi sforzi vengono condotti in pubblico, ma altri in privato, in totale segretezza. “Il governo degli Stati Uniti ha messo tutte le opzioni sul tavolo per convincere Maduro a lasciare il paese prima della fine del suo mandato a gennaio”, ha detto una persona coinvolta nei colloqui e citata dal Wall Street Journal. Secondo i media americani, il governo di Washington aveva già offerto l’amnistia a Maduro l’anno scorso,  durante i colloqui segreti a Doha, in Qatar, ma il dittatore si era rifiutato di discutere qualsiasi accordo che implicasse la sua partenza dal potere. I negoziati sono ripresi dopo il voto del 28 luglio, con la proclamazione della vittoria di Maduro presa in contropiede dalla meticolosa compilazione da parte dell’opposizione venezuelana di un conteggio dei voti che mostra che lo sfidante Edmundo González Urrutia avrebbe vinto con una maggioranza schiacciante. Senza avere mai presentato i verbali, Maduro si è autoproclamato vincitore  quella stessa notte, scatenando massicce proteste. La risposta è stata  l’“Operazione Tun Tun”, una brutale ondata di repressione che ha già causato migliaia di detenuti e decine di morti. Maduro ha anche tentato di interrompere il flusso di informazioni ordinando il blocco del social  X e chiedendo ai venezuelani di disinstallare WhatsApp. Gli attivisti dell’opposizione  sono fuggiti in Colombia e, secondo quanto riferito, i passaporti di centinaia di venezuelani che si sono espressi pubblicamente contro il regime sono stati annullati.

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