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Una restaurazione senza rivoluzione: la Thailandia è rimasta senza premier

Massimo Morello

Srettha Thavisin è stato destituito ed è stata la Corte costituzionale, guardiana di tradizione e conservazione, a mettere sottosopra la politica. Ancora una volta si riconferma la regola del Tit: "This is Thailand", tutto può accadere

“Senza una correzione di rotta catartica, diventerà un paese di secondo piano, ancora attraente per il turismo a buon prezzo, ma non molto di più”. Sembra che la previsione di Thitinan Pongsudhirak, politologo thailandese di riferimento, sia destinata ad avverarsi. Quello che è accaduto nella prima metà di agosto, è una restaurazione senza rivoluzione.

 

Il professor Pongsudhirak non è un rivoluzionario. Tanto per mantenere i riferimenti alla Rivoluzione francese - in Thailandia sono sempre più frequenti - si potrebbe definire un girondino. Proprio per questo la sua previsione appare inquietante. Il 7 agosto la Corte costituzionale, guardiano della tradizione e della conservazione, invalidando il voto di 14 milioni di thai, ha decretato lo scioglimento del Move Forward, il partito che il 14 maggio 2023 aveva vinto le elezioni, e ha bandito per dieci anni dalla politica il suo leader Pita Limjaroenrat e altri dieci esponenti del partito. La Corte ha decretato che il Move Forward ha violato la costituzione proponendo un emendamento all’articolo 112 del Codice penale, la legge sulla lesa maestà che criminalizza ogni critica alla monarchia e alla famiglia reale. La proposta, per la Corte, equivaleva al tentativo di rovesciare la monarchia costituzionale thailandese. Si è ripetuto quanto accaduto nel 2019 quando era stato sciolto il Future Forward, il partito progressista che era arrivato terzo alle elezioni e il suo leader Thanathorn Juangroongruangkit era stato escluso dalla vita politica. Oggi come allora il partito è rinato con un suo clone. Si chiama People’s Party ed ha per leader Natthaphong Ruengpanyawut, giovane, di bell’aspetto, con ottimi studi in occidente, di famiglia alto borghese con un background nel mondo degli affari e dei social media. Come i suoi predecessori incarna una nuova categoria sociale thai.

 

Una settimana dopo, il 14 agosto, la Corte ha rimosso dalla sua carica il primo ministro Srettha Thavisin per aver nominato nel suo gabinetto un ex avvocato che era finito in prigione con l’accusa mai provata di aver tentato di corrompere un funzionario della Corte. Srettha era stato nominato premier meno di un anno fa, dopo una serie di rovesciamenti di fronte nelle coalizioni. Il suo partito, il Pheu Thai, ennesima reincarnazione del partito fondato da Thaksin Shinawatra, aveva abbandonato l’alleanza progressista con il Move Forward vista l’impossibilità di quest’ultimo di formare un governo e aveva aderito a una coalizione con i partiti conservatori e degli ex militari. La destituzione di Srettha, secondo una fonte del Foglio vicina alla famiglia del premier, potrebbe essere dovuta a un’ennesima macchinazione di Thaksin. L’ex premier, deposto da un colpo di stato nel 2006, l’uomo che nel momento del suo massimo potere era stato definito il Berlusconi thailandese, tornato in patria dopo 15 anni di esilio, dopo aver ottenuto un perdono reale per i numerosi reati di cui era stato accusato, non sembra aver rinunciato al suo ruolo di maestro nel teatro delle ombre. Punta alla formazione di un nuovo governo in cui il Pheu Thai si rafforzi con l’alleanza col Bhumjaithai Party, il partito di Anutin Charnvirakul, fautore della liberalizzazione della cannabis e con un forte sostegno tra i coltivatori del nord, che rappresenta la forza emergente nel fronte conservatore. In compenso dovrebbe essere escluso il partito dell’ex generale Prawit, acerrimo nemico di Thaksin. L’obiettivo finale è un governo guidato da sua figlia Paetongtarn,

 

Per l’ennesima volta è stata confermata la regola del “Tit”, ossia “This is Thailand”, secondo cui tutto può accadere. In nome del Tit, dal 2006 la Thailandia è stato scenario di due colpi di stato, della destituzione di cinque premier e della dissoluzione di trentatré partiti, in alcuni casi con motivazioni bizzarre, come l’aver candidato a primo ministro una principessa. Nel frattempo, è stato modificato più volte il sistema elettorale e la nomina dei senatori, prerogativa del governo in carica, è stata demandata a una “selezione” in base a un complicatissimo sistema che è stato assunto quale “definizione di insanità”. Se “questa è la Thailandia” il problema, come denunciato dal professor Pongsudirak, è quale sarà la Thailandia. Nella mattina del 14 agosto la borsa di Bangkok ha avuto un calo del 16% e, riferisce la Fonte del Foglio “le banche sono piene di gente che ritira soldi a pacchi”. Secondo molti analisti la Thailandia rischia entrare in un periodo di crescita piatta stagnazione e potrebbe essere superata del Vietnam al secondo posto nelle economie dell’Asean. In compenso sembra che non verranno toccati gli aumenti previsti per il bilancio della difesa.

 

Secondo Pavin Chachavalpongpun, dissidente thai in autoesilio a Kyoto dove insegna al “Center for Southeast Asian Studies”, tutto ciò segna l’inizio della fine per le tradizionali élite thai che potrebbero essere rovesciate da un movimento popolare incruento. In effetti non si prevedono dimostrazioni di piazza, proprio perché il People’s Party punta a una vittoria elettorale nel 2027. Il dubbio è se e come ci arriverà perché sta già infrangendo tutte le regole occulte stabilite dagli ultraconservatori. Il nome stesso è quello inglese del gruppo che nel 1932 aveva dato vita alla rivoluzione che aveva posto fine alla monarchia assoluta. Il logo, ennesima variazione di quello del Future Forward e poi del Move Forward è un triangolo con la base in alto a simbolizzare un rovesciamento nella priamide dei poteri con il popolo sopra l’élite. Ma l’elemento che avrà sicuramente fatto rabbrividire i realisti è la scritta sulle t-shirt dei nuovi leader: Liberté, Égalité, Fraternité, motto della Rivoluzione francese poi adottato dalla Repubblica Francese.

 

Ancora una volta, tutto si può spiegare in un latente scontro di civiltà. Secondo il giornalista Pravit Rojanaphruk, la paranoia degli ultraconservatori verso ogni riforma della legge sulla Lesa Maestà ha radici nel timore inconscio di un virus politico che metta in crisi il sistema gerarchico e i valori della khwampenthai, la thailandesità. I partiti che trasmettono questo virus sono il cavallo di Troia usato dall’Occidente, ossia dagli Stati Uniti, per minare la monarchia, al fine trasformare la Thailandia in uno stato satellite degli Usa nell’imminente scontro tra Cina e occidente. Teoria che troverebbe conferma anche nei piani di Thaksin, che vuole candidare il suo Pheu Thai come partito di lotta e di governo che accolga in sé tutte le correnti che si identificano nell’idea di una Thailandia nazionalpopolare.

 

In questo scenario la previsione del professor Pongsudhirak potrebbe realizzarsi soprattutto per quanto riguarda il turismo. Una Thailandia fedele alla thailandesità è un sogno turistico. Non a caso è stato istituito il “National Soft Power Committee” per propagandare quegli elementi che compongono il fascino thai: dal cibo alle feste. Peccato che quando lo fanno gli stranieri, come ha fatto la Apple con un suo spot per l’iPad Pro, il Soft Power sia bollato come uno stereotipo.

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