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Negli Stati Uniti

Come sopravvive l'America? Le teorie di Harris e Trump sui migranti

Giorgio Arfaras

La differenza delle politiche sull'immigrazioni tra repubblicani e democratici e il malessere che una parte della popolazione vive a proposito della presenza di immigrati illegali

Le differenze nelle politiche sull’emigrazione fra Donald Trump e Kamala Harris sono marcate. Il dibattito si articola su due livelli. Si ha quello che obietta con argomenti empirici quanto afferma Trump, e quello, di natura generale, che afferma che la posta in gioco non è la veridicità dei danni per presenza di troppi immigrati, ma il malessere che una parte della popolazione vive. Si ha l’affermazione che, in caso di vittoria dei repubblicani, un gran numero di immigrati illegali, si dice un milione, soprattutto messicani, sarebbe mandato via più con le cattive che con le buone (WSJ, Trump Allies Draw Up Plans for Unprecedented Immigration Crackdown). Un qual cosa che era già accaduto, ai tempi della Grande depressione e negli anni Cinquanta. Impressiona immaginare come (con i rastrellamenti?) sarebbe portata a termine l’operazione. Con Obama si aveva l’espulsione dei clandestini, ma quando avevano commesso dei reati. Come giustificazione del progetto di espulsione si afferma che gli immigrati illegali portano via il lavoro agli autoctoni e spingono al rialzo il prezzo di molti beni fra cui quelli delle abitazioni. Ciò, a ben guardare, non convince. Infatti, gli immigrati irregolari occupano alcuni lavori, ma coprono la domanda di altri. Infine, gli immigrati irregolari domandano dei beni la cui produzione occupa gli autoctoni e pagano l’affitto agli autoctoni. Viene il sospetto che i messicani irregolari siano il capro espiatorio di un malessere più generale. Molte etnie, come quelle degli asiatici, sono inserite e hanno un reddito mediano maggiore di quello degli autoctoni. Anche nel caso dei messicani questi sono dipinti tutti come poveri e ignoranti, ma la metà dei messicani censiti ha un livello di studi a partire dalle superiori.

Il malessere sembra avere origine nel timore di una “sostituzione etnica”, perciò non sarà il contenzioso sulla veridicità dei numeri sui danni dell’immigrazione irregolare a far passare questa paura, perché è l’angoscia del mutamento etnico ciò che alcuni “bianchi” stanno vivendo.

Si possono immaginare (Eric Kaufmann, Whiteshift) quattro opzioni: combattere, fuggire, reprimere, unirsi.

Si può combattere il cambiamento etnico votando per i populisti di destra. Si può fuggire evitando i quartieri etnicamente disomogenei. Si possono reprimere le ansie in nome del “politicamente corretto”. Ci si può unire ai nuovi arrivati, prima in amicizia, poi in matrimonio. Insomma, chi non vuole la “sostituzione etnica” può votare per i populisti di destra e andare a vivere nei quartieri di soli “bianchi”. Chi la vuole o non la rifiuta può abbracciare il “politicamente corretto”, anche legandosi in amicizia o in matrimonio con i “disomogenei”. Quest’ultima è l’opzione “creola”, che, da un punto di vista demografico, e nel lunghissimo periodo, potrebbe essere quella vincente. Gli autoctoni, infatti, fanno pochi figli, mentre gli eteroctoni ne fanno di più. Alla lunga, gli autoctoni saranno meno numerosi e gli eteroctoni più numerosi. Vivendo a contatto, e diffondendosi il connubio, si avrà una popolazione che è una combinazione di diverse etnie. (Harris anticipa fin da oggi la tendenza creola).

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